27 dicembre, 2006

Auguri a tutti noi

Mi scuso per avere abbandonato il mio blog. Abbiamo lavorato a una giornata-assemblea di decidiamo insieme che è costato lavoro quasi per tutto il tempo non occupato dal lavoro normale. Sono a Roma, giorni di lavoro sul nuovo obbligo che è passato in finanziaria… ma c'è da dargli significati veri e possibili e non sarà semplice. Poi mi riposo. Intanto vi è stata, appunto, la giornata di Decidiamo Insieme il cui documento finale - v. il nostro sito che lo contiene insieme a altri elementi di dibattito che vanno emergendo - ci fornisce una traccia per riprendere a gennaio l'attività con maggiore chiarezza. Si può iniziare con i rifiuti?

04 dicembre, 2006

Basta timonieri, ricostruiamo la democrazia


Passata la cresta dell’onda dell’esposizione mediatica della crisi di Napoli, ora va scemando anche la ballata dei “faremo, siamo già in procinto di…, manca poco a…, stiamo per attuare…” che ha accompagnato e seguito la visita del Presidente della Repubblica.
Nei mesi a venire vedremo quanto ci avrà potuto donare questa visita al di là del fiume dei buoni proponimenti.
So che in giro vi è stata una polarizzazione interpretativa di questo passaggio della politica a Napoli o come un indispensabile lenitivo per le troppe ferite aperte e un avvio di un qualche nuovo inizio o come un dettagliato disegno di conservazione, benedetto dal ceto politico romano di centro-sinistra sulla base di un accordo con la classe politica locale, predisposto con diabolica cura e destinato a qualche strana forma di successo.
Non credo né all’una né all’altra cosa. Entrambe le interpretazioni sono il frutto di pensieri costruiti sui desideri. Sarebbe tutto sommato più rassicurante o vedere le cose che riprendono magicamente il verso giusto o credere che basti una macchinazione ben congeniata a conservare l’inconservabile.
Non amo queste opposte rassicurazioni perché non credo alle competenze taumaturgiche del nostro stantio ceto politico né penso che la cosmesi, per quanto ardimentosa, possa riuscire a fermare il declino.
Penso, invece, che si debba metodologicamente restare ancorati ai fatti - oggi e nei mesi a venire. Perché la catena dei fatti ci descrive una crisi di tale profonda gravità da farne un’anomalia rispetto a qualsiasi altra grande area urbana d’Europa. E’ qualcosa di perdurante e che ha bisogno di ben altro che degli squilli di tromba per le autorevoli visite o del gran gala delle buone intenzioni.
Rielenchiamoli questi fatti distintivi della nostra crisi:
  • la presenza di un potere economico, politico e militare moderno e pervasivo – la camorra – che impedisce l’esercizio del monopolio della forza da parte dello Stato democratico;
  • una crisi della sicurezza pubblica che non ha altri esempi in Europa e una mancanza di esercibilità dei diritti fondamentali, a partire da quelli alla libertà e sicurezza personali, alla formazione e al lavoro regolare;
  • i modelli stessi dello sviluppo, con l’allargamento terribile della forbice tra persone protette e persone escluse, con la povertà relativa che ha raggiunto il record italiano;
  • una riproduzione parassitaria, molto più grave che altrove, di tutti i mali della pubblica amministrazione con l’aggravante del una testardo rifiuto di ogni innovazione organizzativa e dell'introduzione di pur minimi criteri di efficacia riferibili al merito nell’uso delle risorse economiche e umane, con l’aggiunta della conservazione di estese pratiche personalistiche e di illegalità;
  • la esclusione da condizioni di dignità propri della cittadinanza e delle minime opportunità per intere fasce della popolazione non solo povere (anziani, bambini, adolescenti, diversamente abili, giovani ecc.);
  • un generale degrado ambientale e nelle condizioni di vivibilità urbana, soprattutto nelle periferie, di cui la crisi dei rifiuti è solo l’elemento di punta;
  • la ripetizione di modelli di offerta culturale che a poche iniziative di qualità sostenute dalle amministrazioni, fruibili da una piccola minoranza di cittadini, affianca l’abbandono di interi settori della cultura e delle arti, dei giovani talenti e di tutte le esperienze non asservite e, insieme, la costanza di uno sconvolgente provincialismo sui piani della proposta, del metodo, dei contenuti, dei linguaggi, della comunicazione;
  • le modalità dell’esercizio della democrazia politica che vede un'accentuazione della chiusura di spazi partecipativi e di effettivo decentramento, una esclusione marcata delle donne, un ormai stanco ripetersi di liturgie accentratrici da parte di un inamovibile blocco di potere che viene definito come un esempio estremo di nomenclatura di partiti che estende la sua cerchia a strati di cosiddetta società civile, che intende la coalizione di governo entro logiche spartitorie e gestionali assolutamente impermeabili alla società e al ricambio, che ha governato fin qui senza successo e incentra, tuttavia, ogni attività sulla caotica e litigiosa asserzione della propria autoreferenzialità.
Così stanno le cose. E mentre è doveroso continuare a suggerire soluzioni ai problemi presi uno per uno, in modo civicamente propositivo – come stiamo cercando di fare nei luoghi del dibattito pubblico o sulle pagine dei giornali – tuttavia penso che, al contempo, c’è bisogno di ripetere “l’analisi cruda della situazione concreta”. Perché è solo questa crudezza che mostra che le diverse varianti delle soluzioni di chirurgia plastica non sono capaci di rispondere all’enormità della crisi di Napoli, che un ciclo storico si è chiuso per sempre, che delle sue miserie ci sono i responsabili politici che conserveranno, nella storia, i loro nomi e cognomi, che i loro scudieri, per quanto fidi, non sono meglio dei padroni e che la strada della ripresa è lunga e faticosa ma soprattutto impone un radicale cambiamento negli indirizzi programmatici reali, nel metodo, nei toni, negli stili e nel personale della politica.
Un elemento decisivo di questo cambiamento radicale, a Napoli, può derivare dalla convinzione che non ci serve un altro santo o eroe o timoniere egregio. Dobbiamo, insomma, rigenerare la nostra politica senza più delegare la mente e le forze al capo per poi magari urlare al tradimento, presi dallo sconforto della disillusione ogni volta ripetuta dopo ciascuna illusione. Per sortire da questa crisi, dobbiamo tutti iniziare ad impegnarci a un lungo lavoro di riparazione e ricostruzione, fortemente collegiale e partecipativo e alla costruzione condivisa e faticosa di una cultura di governo finalmente moderna che non consenta più né re, né vice-re né similari. E’ un’impresa che riguarda tutti e ognuno, forze politiche e non. E che riguarda anche Decidiamo Insieme, che era nata anche per questo.