26 febbraio, 2007

O di lotta o di governo

Oggi posso finalmente affrontare con una certa tranquillità la questione del governo. In questi giorni non avrei detto con il necessario distacco.
Per un poco potremo andare avanti con Prodi, forse.
Mi fa piacere non solo perchè l'ho votato né per una speciale affezione al personaggio, ma perché trovo particolarmente increscioso e deprimente aprire il varco a questa destra e contemporaneamente far decadere i decreti su qualsiasi materia. Se si è chiesto un voto per governare, allora la materia e la responsabilità del governo è cosa prioritaria.
Faccio l'esempio che mi è più vicino. Insieme a tante persone ho lavorato in questi mesi a misure che hanno smontato il progetto della Moratti e stanno costruendo un'altra scuola.Ma devono diventare legge ed essere completate.
E' molto frustrante trovarsi nella situazione di Sisifo che portava il peso fino a sopra la montagna e poi era costretto a ributtarlo giù.
Lo sanno quelli che confondono funzioni di governo con funzioni di opposizione che tra le altre cose sarebbe tornata quella scuola contro cui si sono battuti per cinque anni?
Non si tratta di un problema di due persone particolarmente narcisistiche. E' una convinzione più diffusa che si possa essere "di lotta e di governo". Il punto è che questa formula di Enrico Berlinguer, fu coniata quando stava all'opposizione e si poneva il problema della responsabilità politica dall'opposizione.
L'approccio esattamente contrario al senso comune mostrato in questi mesi da certa sinistra radicale.
Altro è fare la lotta, cosa indispensabile nelle dinamiche di una democrazia.

18 febbraio, 2007

Le bollette i ticket e la politica

La troupe si è spostata. Questa volta (non) siamo a Saint Tropez. E siccome la registrazione in studio è stata fatta il 17, la pila è finita a metà. L'altra metà è appiccicata dopo. Insomma sempre peggio. A seguire, la trascrizione.




Siamo a Saint Tropez, la gente si chiede: perchè? No, non siamo a Saint Tropez, siamo a Napoli.

Cè un signore, Maestro SM che nei
commenti dice: "Ma per voi le questioni delle bollette, delle tariffe, non sono importanti?"
Maestro SM ha ragione perchè le tasse sotto forma di bollette, di tariffe, non sono progressive. Arrivano uguali per tutti, ma dato che tutti non sono uguali finiscono per essere tasse che colpiscono più i poveri e meno i ricchi.
Questo della povertà è un problema che riguarda anche la Campania?
Si l'abbiamo detto spesso da queste parti e ha ragione il Maestro SM che è una questione che riguarda la politica. Cè un sito che si chiama Accenti, di giovani studiosi napoletani. Questi giovani hanno notato che secondo i dati Istat sul reddito e le condizioni di vita, i dati ufficiali, la Campania è il luogo dove l'indice di Gini, che misura la diseguaglianza nel reddito, ha i valori più alti d'Italia. Quindi in un posto dove, come abbiamo detto, c'è la maggiore quantità di popolazione sotto la soglia della povertà e dove la forbice della diseguaglianza è più allargata arrivano le bollette e accentuano la povertà. La vita concreta delle famiglie per una bolletta può diventare disperata.
Vorrei mettere l'accento su un'altra cosa. E' estremamente terribile (volevo dire singolare) che un posto governato dal centro sinistra sia un posto dove crescono le diseguaglianze tra i cittadini.

E dove queste cose non si dicono.
No, non si dicono. Bisogna andare a cercare il sito dei giovani studiosi che peraltro riprendono i dati ufficiali dell'Istat.
(Fine della pila - ricarica - nuovo ciak)

Ma il nostro amico SM fa una domanda sulla politica.
Si, è una questione politica. Questa forbice di diseguaglianza si crea negli anni. Sono quasi quindici anni che in Campania c'è il centro sinistra al governo e le diseguaglianze sono aumentate. Quando c'è uno sciopero, una manifestazione a piazza Plebiscito, dove una parte dei sindacati si inizia a mobilitare su queste faccende, il caro bollette e così via, se la Cgil non aderisce si tratta di un fatto grave. Vuol dire che c'è un blocco di personale politico, che purtroppo coinvolge anche una parte importante, la più importante del sindacato, che continua invece a preservare la classe dirigente che in qualche misura ha favorito la crescita della diseguaglianza.
Arriverà un giorno che un caudillo, un demagogo di destra raccoglierà la protesta inevitabile, data questa situazione di diseguaglianza sociale. E andrà a finire male. Dovremmo cercare di evitarlo e quindi ridiscutere di queste cose. Parlare di democrazia e anche di opportunità per tante persone che non ne hanno. Le statistiche sono fatte da persone.

13 febbraio, 2007

Spendersi con regolarità o fare passerelle

Fabrizio, della onlus Compagni di viaggio, chiede di collaborare e ci fornisce anche l’occasione di tornare a parlare di welfare e giovani e della situazione in città su questo decisivo fronte, gliene sono grato.Il fatto che la politica, intesa come occuparsi della città, si possa concretamente tradurre in azione situata e costante del tipo “in questo posto abbiamo bisogno di persone che si spendono per fare queste cose con queste ragazze e questi ragazzi con un minimo di regolarità nel tempo” è una dimensione concreta e autentica che mi è congeniale. Le mie riflessioni di qualche giorno fa, Fabrizio, a partire da casi concreti e, insieme, da ispirazioni teoriche di cui Europa e Italia parlano – voleva sostenere appunto la centralità di questo tipo di lavoro.
Penso anche che molte persone, spesso preparate, lavorano in città su questo fronte.
Ma hanno anche rappresentanza? Hanno luoghi pubblici, favoriti dall’amministrazione, dove chi già si spende possa confrontarsi, scoprire le reciproche esperienze, rifletterci, discuterne e trovare nuove opportunità in modo condiviso?
In passato qualche volta le amministrazioni napoletane hanno favorito qualcosa che andava in questa direzione. Penso a un forum dei e con i ragazzi che si è tenuto a Bagnoli tre anni fa, al forum dell’infanzia e dell’adolescenza di cinque anni fa. Roba a cui gli assessori davano pure qualche soldino.
Altre volte le cose si sono fatte senza quasi soldi da parte delle amministrazioni. Penso alle riunioni di Napoli sociale o alle iniziative di psichiatria democratica o al convegno di quasi un anno e mezzo fa curato, insieme, dalla redazione della rivista Animazione sociale e dai diversi operatori di Napoli che cercarono di superare le differenze e anche le concorrenze per parlarsi e interrogarsi su cosa e come fare meglio. In quella occasione almeno qualche assessore si affacciò, ascoltò. In quella occasione eravamo in tanti e, d’accordo con gli amici di Animazione sociale, che hanno, poi, curato, i materiali di quella esperienza comune, avevamo organizzato il lavoro in modo che si potesse parlare insieme dei problemi e che fosse evitata la lugubre passerella dei politici in fila secondo la gerarchia o la rituale esposizione, un po’ sovietica, del Piano sociale quinquennale che annunciava il dettaglio della compilazione cartacea di ciò che “dovrebbero fare le politiche sociali”. Ma oggi, invece, la “politica politicosa” e i pur avvertiti tecnici delle amministrazioni sono miseramente tornati indietro. E ci risiamo con le passerelle autoreferenziali che altre città hanno imparato ad evitare come la peste con i politici che (regione-provincia-comune) prendono il 30% del tempo, con un altro 40% almeno del tempo preso da qualche grande programmatore che espone il mondo che verrà con piglio hegeliano, senza che vi sia fase seminariale dedicata al lavoro sociale vivo e con ognuno che ritorna alle sue prassi, sconsolato e più solo di prima.
E’ così che oggi Napoli conosce – oltre la crescita della povertà delle persone e la pauperizzazione delle risorse per il sociale – anche l’impoverimento dell’analisi, la decrescita delle occasioni di vero confronto, lo strapotere di mediocri capuzzielli di apparato.
Forse è ora di ribellarsi e di ripartire con le proposte di chi sta in campo.

06 febbraio, 2007

La città e le opere

(Oggi siamo a Berlino, quello dietro è il Reichstag)
Piccolo aggiornamento al 10 feb: molte persone non sono riuscite a vedere il filmato. Quindi va spiegato che il palazzo alle mie spalle non sta a Berlino perché è il lato di Palazzo Reale che dà su via Acton e quindi siamo a Napoli. Tutti quelli che mi hanno fermato chiedendomi conto del mio viaggio a Berlino sono stati vittime di uno scherzo un po' cretino.



(trascrizione per i non cablati)
Questa città si sta trasformando ultimamente. Ci sono grandi opere,
stadi, spiagge, centri benessere. Il nostro popolo sarà gratificato
da grandi opere.

Sono allibito dal fatto che hanno fatto una campagna elettorale,
istituito degli asssessorati strategici ricoperti da noti oppositori
di estrema sinistra, sulla base di un piano strategico e di un piano
regolatore che è stato esaltato durante la campagna elettorale e
infine dai famosi cento progetti che sono st
ati presentati al presidente del consiglio all'avvio del governo di
Rosa Russo Iervolino. Tutte le cose di cui si sta parlando, a partire
dallo stadio di Scampia, non si trovano in nessuno di questi documenti.
Quindi non solo non si parla con i cittadini, non solo non è
all'ordine del giorno del consiglio comunale, non ci sono spazi
pubblici per questo, ma va sui giornali a seconda di come si sveglia
tizio o sempronio. Questa è la situazione e nessuna altra città, nè
in Italia né all'estero sta in queste condizioni di assenza di
procedure non dico democratiche, ma accettabili, decenti.

Rifondazione comunista ha posto una questione - e la lodo per questo
- sulla colmata di Bagnoli: forse non conviene. E comunque va fatto
uno studio per vedere i costi, l'impatto ambientale. Subito gli hanno
dato addosso tutti quelli che in qualche modo hanno bloccato
qualunque rapporto dei cittadini di Bagnoli con il Piano Bagnoli con
la P maiuscola. In realtà quello che io sospetto è che questo è il
modo per fermare tutto e per continuare a fare gli affari loro.

La discussione prosegue su Decidiamo insieme dove c'è anche ricca documentazione.

Sui commenti al welfare per i ragazzi

Ringrazio per la partecipazione a questa primissima riflessione su "quale welfare" per i giovani che si dovrà riprendere con cura nei mesi a venire. La sofferenza dei ragazzi nel crescere, la difficoltà di unire libertà nella esplorazione del mondo e nella costruzione di indentità alla responsabilità è una roba seria, evidente e che interroga la politica. E in particolare le politiche dell'istruzione, della formazione e del welfare. In questa prima riflessione ho solo voluto aprire un dibattito su misure che siano efficaci.Per esempio vorrei che si discutesse a Napoli su: una volta aperte le scuole il pomeriggio, cosa funziona e cosa no con i ragazzi che ci vengono? A determinare la bontà di una misura non è la misura in sé ma ciò che concretamente vi accade "dentro". E sono certo che alcune scuole aperte di pomeriggio disegnano buone misure e altre no. E che dobbiamo imparare tutti dalle effettive pratiche ed evitare la tipica polarizzazione hegeliana "o a favore o contro" senza scrutare quel che accade. La questione Catania - e cento e cento altri episodi, da stadio e non, che conosco per il mio lavoro e che per mero caso non sono sfociati in tragedia - sono altrettanti segnali, che il mondo adulto rimuove, che pongono il problema del welfare esattamente in termini pedagogici. E va detto. Del resto, è l'ONU che ci parla di città educative... Non si vuole una pedagogia di stato, sia chiaro. Ma una vocazione educativa che preveda la condivisione tra chi ottiene misure e chi le eroga. Il fatto è che tutto il mondo parla da almeno dieci anni di questa roba mentre qui si crede ancora a un piano sovietico che possa dare risposte univoche a tutti e senza coinvolgere, nelle scelte sul welfare, innanzitutto i destinatari delle politiche pubbliche cioè i ragazzi e chi con loro sta ogni santo giorno. I palazzi dove si decide il welfare in Campania se ne cadono di annunci e di piani, scritti in ottimo lessico da welfare partecipato... ma poi nessuno fa patti con le persone. E non si dica che dappertutto è così. Perché io giro da quindici anni e la Campania e Napoli sono primi per mancata partecipazione e dibattito pubblico su questi temi.

01 febbraio, 2007

Welfare per i ragazzi? Amèn

Constatazioni sullo stato dell’arte

Quale welfare serve ai nostri ragazzi? E’ questo che spesso mi si chiede. E io rispondo raccontando storie come queste di Lella, di Carmine e di Mary.
Lella ha bisogno di un asilo nido dove vi sia una sponda con cui parlare di sé e dei suoi figli. Vuole studiare per ottenere almeno una partita iva ma quando le ho detto che non sarebbe affatto una cattiva animatrice di comunità e le ho spiegato cosa facevano, lei ha sorriso con un sorriso vero. Carmine mi ha chiesto: “C’è qualcuno che mi paga un anno di lezioni di tromba se, in cambio, mi impegno a prendere il mio diploma?” Mary vuole lezioni di Italiano, Inglese, Economia aziendale, Diritto, Informatica ma – aggiunge – in un “posto vero”, di sera e non a scuola. Tutti e tre non disdegnerebbero certo opportunità di capirne di diritto o di parlare meglio in Italiano o di saperne di questioni ambientali. Non sono più i ragazzini drop-out di 5 anni fa.

Servono molti welfare, molti diversi welfare. Allora mi dicono che i dispositivi pubblici hanno “necessità di essere leggibili in modo unitario”. Allora io dico che anche gli aerei da combattimento sono a geometria variabile. Sorridono e mi rispondono che “non si può fare un ‘welfare on demand’, su richiesta individuale e che le misure di welfare sono politica pubblica e devono avere una loro ratio”. Amèn rispondo io. In senso letterale: che sia così. Tanto…
A proporre di includere anche da noi, nelle cornici di riferimento teorico, il processo di individualizzazione entro il mondo globalizzato, come uno dei fattori cruciali che concorre alla crisi del welfare state, è stato Massimo Paci in un bel libro del 2005:
In un momento di svolta o di transizione, come quello attuale, in cui i sistemi di welfare europei sono in visibile difficoltà e gli stessi valori di uguaglianza e solidarietà, su cui essi si sono fondati fino ad oggi, reclamano un aggiornamento, una riflessione sul processo storico di individualizzazione può essere utile per comprendere il cambiamento in atto.

E la direzione di marcia, che dovrebbe spingere il welfare fuori dalla crisi sta proprio nei processi di individualizzazione. Qui siamo soccorsi da Amartya Sen che da anni, con argomenti davvero corposi, ci ripete che la gente comune vuole prendere in mano la propria vita o come dice testualmente “vuole progettare e avere una vita propria”. Si tratta dunque di garantire a tutti i cittadini la libertà individuale che va vista, nel welfare che si auspica, come libertà sostanziale o in positivo, il che, tra l’altro, la differenzia nettamente da quella classica del pensiero liberista come libertà, in negativo, da ogni vincolo e limite. La concezione di libertà di Sen rinvia a quella di uno stato abilitante e di una società attiva insieme alle persone destinatarie di welfare e perciò è alla base di quella visione riformatrice del welfare, in cui diventano concetti portanti quelli di partecipazione ed empowerment dei singoli individui cittadini che, come Mary, Lella e Carmine chiedono cose diverse ma tutte di decisiva importanza sulla base della loro visione di “aiuto al proprio sviluppo individuale, al proprio progetto di vita”.

Queste cose del tutto evidenti non è che non si sappiano o che non si dicano nei documenti ufficiali che progettano welfare, a livello nazionale come a livello locale, che inondano gli uffici, i comunicati stampa e quant’altro. E da anni le leggiamo nei libri oltre che sulle strade delle nostre città, lì dove lavoriamo con le giovani persone che sono precocemente escluse.
E’ che il sistema-Italia - dove tutti si professano riformisti e attenti ai giovani e in particolare ai giovani esclusi – è ancora, con rare eccezioni, legato a una idea rigidamente standardizzata della offerta di welfare. Che non serve innanzitutto a chi dovrebbe beneficiarne.
Perciò, con penosa impotenza e nonostante grande spreco di pubblico denaro per progetti e misure pensati ben lontani dalle persone in carne ed ossa, non possiamo dare risposte reali ai nostri tre giovani amici. E così sia.