24 aprile, 2007

Quando un elemento si muove

Oggi "La Repubblica - Napoli" ospita un mio articolo sul tema del Partito Democratico a Napoli. Lo riporto anche qui per dargli un po' più di un giorno di vita.
Quando un elemento si muove, tutto riprende a girare. Così, anche a Napoli – dove fino a ieri ogni cosa appariva congelata nel nome degli assetti dati – la vicenda del Partito Democratico può aprire una nuova fase di possibilità.
Non si tratta di una prospettiva semplice né già avviata alla quale dare una adesione o fare opposizione a scatola chiusa. Si tratta di uno scenario nuovo che ha in sé segni diversi. Infatti è del tutto evidente che, per un verso, l’unione tra i due partiti parla, a Napoli e in Campania, il linguaggio della tenuta e della stabilità tra due apparati muniti di appartenenza e di una folla di pratiche quotidiane oltre che di dei e di penati (il famoso pantheon) legati alla conservazione e alla mancata soluzione dei problemi connotativi della crisi del nostro territorio. Ma, al contempo, questo stesso processo annuncia, appunto, democrazia e promette di aprire davvero le porte alla partecipazione di cittadini che a quei partiti non hanno mai appartenuto, che non ne hanno a cuore le identità e i simboli e che vi portano, in libertà, i propri percorsi e le proprie personali icone, insieme ad esperienze di soluzione di problemi, dubbi, nuove competenze e ambizioni o di quegli iscritti che vogliono un radicale cambiamento. Da una parte si vuole consolidare la “muraglia di Gerico” con puntelli e terrapieni. Ma dall’altro si permette alle trombe di annunciare nuovi suoni che parlano di premio al merito, ricambio generazionale, più donne in posti chiave. Se, dunque, è vero che qui il Partito Democratico significa De Mita e Bassolino e, più che altrove, una separata e chiara duplice identità, ex-comunista e ex democristiana, conservatrice nel bene e nel male, e, in particolare, nella grande vocazione e competenza nel controllo degli assetti stabiliti, non è detto che tutto debba per forza tenersi ancora così. E nascono dubbi, nuove appartenenze, insperate possibilità mentre si rinnovano vecchie resistenze. Così gli apparati e gli appartenenti ai due partiti sono spinti, al contempo e non senza incertezze, fuori e dentro il proprio campo, a capire se davvero rimescolarsi con linfe nuove e in quali modi, in vista dei meccanismi elettorali per la costituente del PD o se, invece, salvaguardare coi denti le aggregazioni difensive, con le due anime e i relativi meccanismi di mediazione conservate, a custodia degli assetti di sempre, magari cambiando un po’ il linguaggio. E può accadere, come spesso è in questi casi, che quanto maggiori sono i fattori di rigidità nella conservazione tanto più incontrollabili e incombenti possono essere i processi innovativi. E le trombe che chiamano alla effettiva innovazione possono fare crollare le mura.
E questo moto incerto non avviene in un luogo di sostanziale buon governo e di rassicurante sviluppo o di avvio, sia pur faticoso, di un nuovo inizio dopo le elezioni vinte per la terza volta. Si annuncia, invece, nel bel mezzo di una città a economia stagnante e con i più alti tassi di povertà e la più larga forbice nelle differenze sociali, ancora coperta di rifiuti, paurosamente inquinata, senza piano strategico troppe volte annunciato, con i processi decisionali su Bagnoli o su Scampia o sul nuovo stadio tanto confusi quanto poco partecipativi, con le municipalità pomposamente avviate a centinaia di migliaia di euro spesi ma senza poteri reali trasferiti, con le nomine che avvengono in modi non più tollerabili, con le donne fuori dal consiglio comunale ecc. Sono cose che non sono avvenute fuori dai due partiti che ora si uniscono e promettono altro. Perciò: sono tutti temi della cittadinanza – propri della nuova identità potenziale del Partito Democratico annunciata a Firenze e a Cinecittà – aperti come altrettante ferite. Tali temi – il come li si affronta in modi nuovi – diventeranno dirimenti per il carattere effettivo, reale del PD. Sono altrettante “messe alla prova”. E gli occhi di tanti cittadini, dei giovani stanno già guardando proprio questo.
E’ evidente, dunque, che la promessa annunciata di poter fare parte di un luogo politico nuovo da un lato non può avvenire per cooptazioni controllate ma invece per pacifica invasione atta a plasmarne programmi e azioni; dall’altro lato non può avvenire su una astratta adesione a un riformismo generico ma proprio sul piano della inversione di rotta per la salvezza della città in cui si vive. Questa incontrovertibile evidenza, dunque, segna l’agenda politica e la sfida del nuovo partito: esso intanto sarà democratico quanto più saprà spalancare le porte ai cittadini non sul tema pre-moderno della identità né su quello della conservazione di vecchi metodi e potentati ma su proposte innovative, costruite con esperti, cittadini, associazioni, sui nodi critici della vita a Napoli. E’ su questo piano che si gioca il carattere democratico effettivo del nuovo partito e il ricambio di classe dirigente. Se ciò avrà avvio nelle prossime settimane anche le altre aggregazioni – quelle a sinistra e quelle dell’opposizione di destra, i socialisti e i radicali – saranno forse spronate alle trasformazioni annunciate e dunque a competere nelle proposte utili alla città e utilmente alternative. E crescerà una migliore politica a cui fa piacere partecipare. Se ciò non avverrà diminuiranno ancora le possibilità per Napoli di invertire il destino di declino, si chiuderà di nuovo la finestra delle speranze e per tanti rimarrà l’impegno civile ma la politica organizzata resterà lontana.

23 aprile, 2007

L'intervento al congresso DS

Radio Radicale ha trasmesso e registrato tutto il congresso DS di Firenze e quello della Margherita, come fa per tutte le principali iniziative politche italiane, e anche per le meno principali. Per questo ha messo in onda anche il mio intervento di 11 minuti e una breve intervista.
Per commenti di più vasto respiro ci sentiremo al più presto, spero.

Ma per ora il video su Radio Radicale sembra non funzionare. Se non è così avvertitemi nei commenti.

19 aprile, 2007

Parlerò al congresso DS di Firenze

Domani parlerò al congresso nazionale dei DS a Firenze.
Sono stato invitato da Andrea Ranieri, responsabile nazionale scuola, come uno degli esterni che porta testimonianza di analisi e di proposta. Lo vivo come la continuazione del mio lavoro di questi mesi a sostegno dell’azione di governo nell’ambito della scuola e dell’educazione. Sto facendo il tecnico. Sto operando nella logica di fare funzionare meglio le cose sapendo bene che si tratta di una fatica contraddittoria, di un artigianato imperfetto. Sono stato chiamato nella segreteria tecnica del vice-ministro Bastico, DS, per occuparmi del nuovo obbligo di istruzione a 16 anni. Faccio parte della commissione nazionale sulle indicazioni per la scuola di base che dovranno sostituire quelle della Moratti. Lavoro per ottimizzare fondi e dispositivi sulla dispersione scolastica – una vera piaga dell’Italia che nega i diritti dei ragazzi più poveri, soprattutto meridionali. Certamente parlerò di scuola, di esclusione dei giovani, di un welfare nuovo per il Mezzogiorno – come ho anticipato al cronista de Il Mattino di oggi.
Ma ho pochi minuti di tempo e intendo usare questa tribuna per dire alcune cose di carattere politico generale. Ecco la scaletta che mi sono fatto:
1. Non sono mai stato iscritto ai DS né al PDS né al PCI. Non ho mai avuto una tessera di partito. La politica così com’è non mi attrae, come a tanti. Sono interessato al Partito democratico e voglio il confronto vero ma non aderisco ora e certamente non aderisco al buio. Si può fare politica anche altrimenti, sono 30 anni che lo faccio. Penso, dunque, che non sia un’opportunità in sé e per sé ma solo a determinate condizioni.
2. L’interesse politico per il sommovimento prodotto dalla proposta del PD non sta dunque nel essere a favore o contro “a prescindere” ma nel seguire e giudicare serenamente il processo e, però, volere e sapere declinare le condizioni o almeno alcune condizioni-chiave capaci di avere una valenza assolutamente dirimente sia reale che simbolica. E tali condizioni, a mio parere, sono legate almeno ad alcune questioni prioritarie che riguardano la vita della società in cui viviamo e quella di ciascuno.
- Una prima questione riguarda il merito delle politiche verso i più deboli e verso il Mezzogiorno: si devono scegliere le vie di un welfare nuovo e davvero partecipativo e inclusivo e dedicarci ingenti risorse ma senza più sprechi. Farò brevi esempi.
- Una seconda questione riguarda la scelta dei gruppi dirigenti e degli amministratori a tutti i livelli: interessa che davvero si inverta la rotta e si scelga in modo democratico ma anche per merito e competenze, perché si è portatori di esperienze e di sapere, perché si è praticato metodo e cultura partecipativi.
- Una terza questione riguarda una radicale inversione delle politiche per l’ambiente. L’agenda di Al Gore, per intendersi, è l’agenda dei giovani e va sostenuta subito e nei fatti e implica scelte e giudizi su classi dirigenti.
- Qualsiasi sia l’alchimia tra partiti sulla legge elettorale una cosa è certa: il listone scelto dai vertici dei partiti è intollerabile. E – sia chiaro - non basta aggiungere l’antidoto delle primarie. Gli elettori devono poter scegliere. Gli elettori!

Spero di trovare il ritmo e il piglio giusti. Farò sapere e metterò qui il dettaglio dell’intervento.

16 aprile, 2007

Un documento sulla scuola di base italiana

Nelle ultime settimane ho lavorato, insieme alla commissione nazionale di cui faccio parte, al documento che dovrà fare da guida culturale alla riscrittura delle indicazioni – i programmi, per intendersi – della scuola di base italiana: scuola dell’infanzia, scuola primaria (elementare), scuola secondaria di I grado (media). Le indicazioni sostituiranno quelle della Moratti, tanto criticate. Il 3 aprile si è svolto a Roma un affollato seminario nazionale di presentazione di questo documento-guida titolato“Cultura Scuola Persona. Verso le indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione”.
Ha introdotto il documento Edgar Morin. E ne hanno sostenuto i contenuti alcuni studiosi italiani di diverse aree scientifiche e umanistiche: Edoardo Boncinelli, Francesco Paolo Casavola, Anna Maria Chiavacci Leonardi, Roberta De Monticelli, Ezio Raimondi, Edoardo Vesentini, Giovanni Maria Vian.
Il governo, il ministro – almeno nelle intenzioni esplicitate – intendono aprire così una fase di confronto partecipativo con la scuola. “Le riforme – scrive il Ministro Fioroni nell’introduzione del documento – non si fanno senza confronto e collaborazione; richiedono persino una forte passione; pretendono comunque non solo il contributo impegnato di tutti e di ciascuno, ma pure uno sforzo comune di condivisione il più possibile ampio e convinto. Il mio augurio è che l’itinerario che abbiamo intrapreso raggiunga i risultati che il Paese e la sua scuola giustamente si attendono”.
Se sarà davvero così lo vedremo nei prossimi mesi. Non tutti i segnali sono rassicuranti, purtroppo. Ma penso che ci si debba battere fortemente per spingere i processi partecipativi nel senso delle cose dichiarate… che sappiamo non essere sempre quelle effettive. Gli esiti dipendono anche da noi.
Intanto il merito culturale del documento – che riporto qui di seguito integralmente perché (altro segnale non rassicurante!) non è facile da trovare in rete – sarebbe interessante leggerlo e dibatterlo anche alla luce di una spinta a superare la situazione di minorità della nostra città, che ha una grande pratica di scuola difficile ma che stenta ad avere luoghi pubblici nei quali poter dibattere la prospettiva nella quale si inscrive la azione di ogni giorno, così difficile e faticosa.
La cosa che più mi colpisce e addolora – di questa mia partecipazione a una elaborazione importante e che continuerà con la stesura delle vere e proprie indicazioni per i tre gradi di scuola di base – è che sono l’unico docente e il solo meridionale della commissione.
Come si vede, le cose non sono affatto semplici anche quando sono cose molto serie e forse promettenti.
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Ministero della Pubblica Istruzione
CULTURA SCUOLA PERSONA: verso le indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, Roma 2007

Tra gli impegni qualificanti assunti all’inizio del mio mandato vi era quello di mettere le istituzioni scolastiche nelle condizioni di sviluppare la loro autonomia educativa e didattica, senza che ciò significasse passare dal centralismo burocratico allo spontaneismo improduttivo.
Tale impegno si è tradotto in questi mesi in una significativa attività mirata a giungere in tempi ragionevoli alla revisione delle attuali “Indicazioni Nazionali” per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Gli esiti di questo primo tempo di analisi e di ricerca si sono tradotti in questo “Documento di base“, elaborato da una Commissione di studiosi e di esperti presieduta dal professore Mauro Ceruti.
Si avvia così un percorso di dialogo e di confronto che richiede il protagonismo non solo del mondo della scuola “militante” - peraltro già da tempo coinvolto in una operazione di “ascolto” - ma anche l’apporto costruttivo dell’associazionismo professionale e disciplinare dei docenti, nonché delle articolate realtà della società politica e civile del Paese: dal Parlamento agli Enti locali, dal mondo dell’Università e della Ricerca alle Organizzazioni sindacali, dalle Associazioni delle famiglie e degli studenti all’universo dei media. Sono queste le componenti che - a vario titolo coinvolte nel sistema formativo - sono direttamente interessate a un suo organico e armonioso sviluppo.
Le riforme non si fanno senza confronto e collaborazione; richiedono persino una forte passione; pretendono comunque non solo il contributo impegnato di tutti e di ciascuno, ma pure uno sforzo comune di condivisione il più possibile ampio e convinto.
Il mio augurio è che l’itinerario che abbiamo intrapreso raggiunga i risultati che il Paese e la sua scuola giustamente si attendono.
Giuseppe Fioroni
Ministro della Pubblica Istruzione


LA SCUOLA NEL NUOVO SCENARIO
In un tempo molto breve abbiamo vissuto il passaggio da una società relativamente stabile a una società caratterizzata da molteplici cambiamenti e discontinuità. Questo nuovo scenario è ambivalente: per ogni persona, per ogni comunità, per ogni società si moltiplicano sia i rischi che le opportunità.
Gli ambienti in cui la scuola è immersa sono più ricchi di stimoli culturali, ma anche più contraddittori. Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici. Ma proprio per questo la scuola non può e non deve abdicare al compito di scoprire la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti.
L’orizzonte territoriale della scuola si allarga. Ogni specifico territorio possiede legami con le varie aree del mondo e con ciò stesso costituisce un microcosmo che su scala locale riproduce opportunità, interazioni, tensioni, convivenze globali. Anche ogni singola persona, nella sua esperienza quotidiana, deve tener conto di informazioni sempre più numerose ed eterogenee e si deve confrontare con la pluralità delle culture. Nel suo itinerario formativo ed esistenziale lo studente si trova a interagire con culture diverse, senza tuttavia avere strumenti adatti per comprenderle e metterle in relazione con la propria. Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta.
Non dobbiamo però dimenticare che in questa situazione di potenziale ricchezza formativa permangono vecchie forme di analfabetismo e di emarginazione culturale. Queste si intrecciano con analfabetismi di ritorno, che rischiano di impedire a molti l’esercizio di una piena cittadinanza. Inoltre, la diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione, insieme a grandi opportunità, rischia di introdurre anche serie penalizzazioni nelle possibilità di espressione di chi non ha ancora accesso a tali tecnologie. Questa situazione nella scuola è ancora più evidente. Allo stato attuale delle cose, infatti, le relazioni con gli strumenti informatici sono assai diseguali fra gli studenti come fra gli insegnanti.
Anche le relazioni fra il sistema formativo e il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando. Ogni persona si trova ricorrentemente nella necessità di riorganizzare e reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino il proprio stesso lavoro. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. Per questo l’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola può e deve realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno.
In tale scenario, alla scuola spettano alcune finalità specifiche. La scuola deve offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi e dei linguaggi culturali di base; deve far sì che gli studenti acquisiscano gli strumenti di pensiero necessari per apprendere a selezionare le informazioni; deve promuovere negli studenti la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di fare da bussola negli itinerari personali; deve favorire l’autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi.
La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi, in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio. Questo comporta saper accettare la sfida che la diversità pone: innanzi tutto nella classe, dove le diverse situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate, evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza; inoltre nel Paese, affinché le penalizzazioni sociali, economiche, culturali non impediscano il raggiungimento degli essenziali obiettivi di qualità che è doveroso garantire.

CENTRALITÀ DELLA PERSONA
Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e con l’unicità della rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali. La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione.
Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato.
Sin dai primi anni di scolarizzazione è importante che i docenti definiscano le loro proposte in una relazione costante con i bisogni fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti. È altrettanto importante valorizzare simbolicamente i momenti di passaggio che segnano le tappe principali di apprendimento e di crescita di ogni studente.
Particolare cura deve essere contemporaneamente posta alla formazione della classe come gruppo, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti indotti dalla socializzazione. La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi. Si deve esplicitare l’importanza delle condizioni che favoriscono lo star bene a scuola, al fine di ottenere la partecipazione più ampia dei bambini e degli adolescenti a un progetto educativo condiviso. La formazione di importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro dell’azione educativa, ma è al contrario condizione indispensabile per lo sviluppo della personalità di ognuno.
La scuola deve porre le basi del percorso formativo dei bambini e degli adolescenti sapendo che esso proseguirà in tutte le fasi successive della vita. In tal modo deve fornire le chiavi per apprendere ad apprendere, per costruire e per trasformare le mappe dei saperi rendendole continuamente coerenti con la rapida e spesso imprevedibile evoluzione delle conoscenze e dei loro oggetti. Si tratta di elaborare gli strumenti di conoscenza necessari per comprendere i contesti naturali, sociali, culturali, antropologici nei quali gli studenti si troveranno a vivere e ad operare.

PER UNA NUOVA CITTADINANZA
La scuola persegue una doppia linea formativa: verticale e orizzontale. La linea verticale esprime l’esigenza di impostare una formazione che possa poi continuare lungo l’intero arco della vita; quella orizzontale indica la necessità di un’attenta collaborazione fra la scuola e gli attori extrascolastici con funzioni a vario titolo educative: la famiglia in primo luogo.
Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ineludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo.
La scuola non può interpretare questo compito come semplice risposta a un’emergenza. Non deve trasformare le sollecitazioni che le provengono da vari ambiti della società in un moltiplicarsi di microprogetti che investano gli aspetti più disparati della vita degli studenti, con l’intento di definire norme di comportamento specifiche per ogni situazione. L’obiettivo non è di accompagnare passo dopo passo lo studente nella quotidianità di tutte le sue esperienze, bensì di proporre un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde, quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori che orientano la società in cui vive.
La scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i genitori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative.
La scuola si apre alle famiglie e al territorio circostante, facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia scolastica, che prima di essere un insieme di norme è un modo di concepire il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali. L’acquisizione dell’autonomia rappresenta un momento decisivo per le istituzioni scolastiche. Grazie ad essa si è già avviato un processo di sempre maggiore responsabilizzazione condiviso dai docenti e dai dirigenti, che favorisce altresì la stretta connessione di ogni scuola con il suo territorio.
In quanto comunità educante, la scuola deve generare una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed essere anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola può affiancare al compito dell’«insegnare ad apprendere» anche quello dell’«insegnare a essere».
L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti, nella loro pura e semplice autonomia. Si deve, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere.
La promozione e lo sviluppo di ogni persona deve stimolare in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme.
Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale. Non dobbiamo dimenticare che fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea. Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente. La finalità è una cittadinanza che certo permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali molto più ricca che in passato.
Per educare a questa cittadinanza unitaria e plurale ad un tempo, una via privilegiata è proprio la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali: non si possono realizzare appieno le possibilità del presente senza una profonda memoria e condivisione delle radici storiche. A tal fine sarà indispensabile una piena valorizzazione dei beni culturali presenti sul territorio nazionale, proprio per arricchire l’esperienza quotidiana dello studente con culture materiali, espressioni artistiche, idee, valori che sono il lascito vitale di altri tempi e di altri luoghi.
La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo. I problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di grandi tradizioni comuni, di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria. Perché gli studenti acquisiscano una tale comprensione, è necessario che la scuola li aiuti a mettere in relazione le molteplici esperienze culturali emerse nei diversi spazi e nei diversi tempi della storia europea e della storia dell’umanità. La scuola è luogo in cui il presente è elaborato nell’intreccio tra passato e futuro, tra memoria e progetto.

PER UN NUOVO UMANESIMO
Le relazioni fra il microcosmo personale e il macrocosmo dell’umanità e del pianeta oggi devono essere intese in un duplice senso. Da un lato tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona; dall’altro, ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità.
La scuola può e deve educare a questa consapevolezza e a questa responsabilità i bambini e gli adolescenti, in tutte le fasi della loro formazione. A questo scopo si deve comprendere che il bisogno di conoscenze degli studenti non si soddisfa con il semplice accumulo di tante informazioni in vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari e, contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici connessioni. E’ quindi decisiva una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo.
In tale prospettiva, la scuola potrà perseguire alcuni obiettivi, oggi prioritari.
Dovrà insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza - l’universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia - in una prospettiva complessa, volta cioè a superare la frammentazione delle discipline e a integrarle in nuovi quadri d’insieme.
Dovrà promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo: la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei problemi; la capacità di comprendere le implicazioni, per la condizione umana, degli inediti sviluppi delle scienze e delle tecnologie; la capacità di valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze; la capacità di vivere e di agire in un mondo in continuo cambiamento.
Dovrà diffondere la consapevolezza che i grandi problemi dell’attuale condizione umana – il degrado ambientale, il caos climatico, le crisi energetiche, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e la malattia, l’incontro e il confronto di culture e di religioni, i dilemmi bioetici, la ricerca di una nuova qualità della vita – possono essere affrontati e risolti attraverso una stretta collaborazione non solo fra le nazioni, ma anche fra le discipline e fra le culture.
Tutti questi obiettivi possono essere realizzati sin dalle prime fasi della formazione. L’esperimento, la manipolazione, il gioco, la narrazione, le espressioni artistiche e musicali sono infatti altrettante occasioni privilegiate per apprendere per via pratica quello che successivamente dovrà essere fatto oggetto di più elaborate conoscenze teoriche e sperimentali. Nel contempo, lo studio dei contesti storici, sociali, culturali nei quali si sono sviluppate le conoscenze è condizione di una loro piena comprensione. Inoltre, le esperienze personali che i bambini e gli adolescenti hanno degli aspetti a loro prossimi della natura, della cultura, della società e della storia sono una via di accesso importante per la sensibilizzazione ai problemi più generali e per la conoscenza di orizzonti più estesi nello spazio e nel tempo. Ma condizione indispensabile per raggiungere questo obiettivo è ricostruire insieme agli studenti le coordinate spaziali e temporali necessarie per comprendere la loro collocazione rispetto agli spazi e ai tempi assai ampi della geografia e della storia umane, così come rispetto agli spazi e ai tempi ancora più ampi della natura e del cosmo.
Definire un tale quadro d’insieme è compito sia della formazione scientifica (chi sono e dove sono io nell’universo, sulla terra, nell’evoluzione?) sia della formazione umanistica (chi sono e dove sono io nelle culture umane, nelle società, nella storia?). Negli ultimi decenni, infatti, discipline una volta distanti hanno collaborato nel ricostruire un albero genealogico delle popolazioni umane e nel tracciare i tempi e i percorsi delle grandi migrazioni con cui il pianeta è stato popolato. La genetica, la linguistica, l’archeologia, l’antropologia, la climatologia, la storia comparata dei miti e delle religioni hanno cominciato a delineare una storia globale dell’umanità. Da parte loro, la filosofia, le arti, l’economia, la storia delle idee, delle società, delle scienze e delle tecnologie stanno mettendo in evidenza come le popolazioni umane abbiano sempre comunicato fra loro e come le innovazioni materiali e culturali siano sempre state prodotte da una lunga storia di scambi, interazioni, traduzioni. A loro volta, le scienze del vivente oggi allargano ancora di più questo quadro: le collaborazioni fra genetica, paleontologia, embriologia, ecologia, etologia, geologia, biochimica, biofisica, ci danno per la prima volta un quadro delle grandi tappe della storia della vita sulla terra e mostrano la stretta interdipendenza fra tutte le forme viventi.
L’elaborazione dei saperi necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, è dunque la premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale, europea e planetaria. Oggi la scuola italiana può proporsi concretamente un tale obiettivo, contribuendo con ciò a creare le condizioni propizie per rivitalizzare gli aspetti più alti e fecondi della nostra tradizione. Questa ,infatti, è stata ricorrentemente caratterizzata da momenti di intensa creatività - come la civiltà classica greca e latina, la Cristianità, il Rinascimento e, più in generale, l’apporto degli artisti, dei musicisti, degli scienziati, degli esploratori e degli artigiani in tutto il mondo e per tutta l’età moderna - nei quali l’incontro fra culture diverse ha saputo generare l’idea di un essere umano integrale, capace di concentrare nella singolarità del microcosmo personale i molteplici aspetti del macrocosmo umano.

LA COMMISSIONE
La Commissione, presieduta dal prof. Mauro Ceruti, ordinario di filosofia della scienza presso l’Università degli studi di Bergamo e coordinata dal prof. Italo Fiorin docente presso l’Università LUMSA di Roma, è composta da:
Prof.ssa Anna Maria Ajello - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Prof. Andrea Canevaro - Università degli Studi di Bologna
Prof. Gustavo Charmet Pietropolli - Università degli Studi di Milano
Prof. Gaetano Domenici - Università degli Studi “Roma Tre”
Prof. Franco Frabboni - Università degli Studi di Bologna
Prof. Lucio Guasti - Università “Cattolica del Sacro Cuore” di Milano
Prof.ssa Silvana Loiero - Dirigente scolastico - S.Lazzaro di Savena (Bologna)
Prof.ssa Caterina Manco - Dirigente Scolastico – Monterotondo (Roma)
Prof.ssa Susanna Mantovani - Università degli Studi di Milano - “Bicocca”
Prof.ssa Luigina Mortari - Università degli Studi di Verona
Prof. Carlo Petracca - Dirigente Tecnico MPI
Prof. Mario Riboldi - Dirigente Scolastico - Milano
Prof. Marco Rossi Doria - Docente di scuola primaria - Napoli
Prof.ssa Elena Ugolini - Dirigente Scolastico - Bologna