30 marzo, 2008

Alla lunga un buon affare

Ieri al sole – quello vero – sono stato a lungo fuori da Galassia Guteberg. Ho incontrato tanti amici e amiche. Che a suo tempo ci hanno votato, sostenuto o altri che non lo hanno fatto ma che hanno oggi rispetto per quella stana impresa.
I tempi della ripresa del senso civile e del senso della politica – come dicono le ragioni di Decidiamo Insieme – saranno sempre difficili e lunghi. Strada ardua il “tenere botta”. Non siamo in pochi a pensarlo, a dirlo, a ripetercelo, di fronte al disastro politico-amministrativo che continua e anche dinanzi a questa scadenza elettorale e oltre ancora…

E’ difficile. Ma le persone che raccontano le cose che sanno e che fanno e che restano qui a “tenere botta” sono una risorsa – varia, ricca, intelligente, anche divertente - una riserva strategica della città.

C’è spesso una voce che chiede: “perché non fate di più?”. Rispondo che se il verbo è alla seconda persona plurale, se è l’ennesima richiesta a altri, se è delega, beh non mi piace. Se è alla prima persona plurale - “noi cosa facciamo?” – va meglio. Poi argomento che c’è depressione in giro. E rispondo anche che la mattina la gente come noi va a lavorare e non è ceto politico distaccato a organizzare consenso.

E sì, effettivamente sarebbe bene fare di più e sarebbe bene portare a termine le tante piccole iniziative insieme agli altri che pensano cose simili. Azioni serie, credibili che di volta in volta si pensano e si propongono per nutrire uno spazio pubblico.

Il 3 aprile, per esempio, cerchiamo di esserci in molti, facciamo telefonate, mandiamo sms. E che la voce giri.

C’è anche, però, chi argomenta contro l’idea di riserva civile in altro modo: “Ma se non state nella maniera normale di fare politica, se siete sempre con un piede fuori, non siete niente e non farete niente”. Sarà pur vero anche questo. Ci ho anche provato a entrare. Ma non mi è parso di trovare una agorà di cui poter essere parte con la mia storia, un luogo ampio, aperto dove riuscire a “ridare senso e forza alla politica” . Piuttosto mi è parso che ci fosse una esplicita richiesta di sottomissione e di resa ai modi, al metodo, ai linguaggi di una brutta politica.

Riparlare, anche molte volte, di queste cose, forse sfianca un po’ ma non è inutile. E a tal proposito, l’altro giorno ho trovato una bella frase da uno dei nostri padri fondatori:

“Per fare buona politica non c’è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie: la buona fede, la serietà e l’impegno morale. In politica la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l’essere un buon affare”. (Piero Calamandrei)

26 marzo, 2008

La Città Perfetta. Un film dell'assessore Velardi


Nel piovoso giorno di Pasquetta ho rivisto il film del 2004 di Frank Oz, La donna perfetta.
La storia è questa: il sincero ma sfigatissimo avvocato Walter Eberhart e sua moglie Joanna, donna, invece, di talento e di carriera, dopo uno scacco professionale di lei, dovuto al troppo cinismo nella gestione di uno show che giocava brutalmente coi sentimenti altrui, si trasferiscono nell'idilliaco e improbabile villaggio di Stepford (il film è tratto da un romanzo di Ira Levin – Le mogli di Stepford). Questo è un luogo irreale, simbolico-metaforico, in cui vengono clonate le mogli a misura del volere dei mariti, tutti inetti a confronto delle storie di successo delle loro signore e dunque frustratissimi. Il senso di sconfitta degli uomini viene però superato – nella irreale e grottesca vita di Stepford - grazie a una sorta di riprogrammazione del cervello delle mogli basata sul principio di sottomissione e all’invenzione di una vita finta in uno spazio urbano altrettanto finto.
Ben al di là del tema uomo/donna, il film – che in sé non è certo un capolavoro - propone una sorta di affresco della revanche. Il fallimento non si può accettare? Non vi sono soluzioni vere ai problemi veri? Niente paura: si lavora alla rimozione delle verità del quotidiano annullandone, uno a uno, i diversi elementi frustranti o fastidiosi grazie a immagini e comunicazione. I fallimenti e le fatiche dell’universo umano possono insomma essere violentemente cancellati grazie a un trucco, alla costruzione di un paesaggio immaginario, fondato, appunto, sulla rimozione. Come quando lo psicotico aderisce al suo falso sé – direbbero gli psicanalisti.
E’ un tema vecchio come il cucco. Ma che invecchia bene…

Non credo che il nostro attivissimo assessore al turismo abbia dovuto trarre spunto dal film di Oz. Egli queste cose ben le conosce. Ed è, certo, evidente quanto egli creda - forse un po’ troppo furiosamente anche per lui - nella costruzione dell’immagine come verità e nella sovranità della comunicazione sulla vita effettiva. Tanto che manda filmini pezzottati in Germania che mostrano zero monnezza. E che lavora a stare ogni giorno su giornali e tv, purchessia. Con la straordinaria complicità di troppi professionisti della nostra locale informazione, francamente.

Un manifesto voluto dall’assessore Velardi reca lo slogan “monnezza a chi?” (con cui d.l. ha subito fatto i conti e poi anche ri-fatti) e mostra la Piazza del Plebiscito – sempre lei, sempre più vuota, bianca come non è stata mai, inutilizzata. E’ un luogo finto, con il leone all’angolo del colonnato forse addirittura mondato dall’atavico tanfo di piscio, lontano dai cumuli di monnezza e da ogni altro problema della città. E’ un luogo dove non c’è essere umano né possibilità di agorà e dunque di fatiche e frustrazioni dovuta alla discussione civile che pretende di analizzare la situazione concreta per poterla affrontare. Il manifesto allude, invece, a una città inventata di sana pianta e che perciò può anche rinunciare allo spazio pubblico, all’azione collettiva e al lavoro vero di ricostruzione del danno. Perché queste cose costano troppo sforzo e prevedono, per potersi fare davvero, almeno la constatazione del fallimento. Perché in fondo basta mostrarla come sarebbe secondo il nostro falso sé e continuare a negare, negare e negare. Nonostante ogni evidenza. Come nella Stepford irreale e psicotica del film di Oz.

14 marzo, 2008

Un nuovo partito, il solito

E’ ormai chiaro che vi è un forte partito del ristagno… Per un eterogeneo concorso di interessi e atteggiamenti conservatori - pigrizia politica, affezione sovietica al potere, convenienza strutturale a che nulla muti nel quadro campano (dall’uso della spesa pubblica fuori da ogni idea di rigore e di sviluppo, alla accettazione della presenza endemica della camorra) – troppa parte del centro-sinistra non ha alcuna vera intenzione di cambiare e dunque di nutrire le nostre civiche speranze. Nessuna.
E la destra – che ha evitato sapientemente di fare opposizione e ha fatto parte del medesimo modus vivendi e operandi – non fa neanche oggi eccezione.
Una rinascita non potrà esserci senza la severità necessaria a dirci questa verità.
Queste immagini di Antonio Zambardino (grazie) su questi nostri duri mesi di monnezza - con il verde quasi finto che cresce su milioni di tonnellate di rifiuti, le notti della protesta e i fumi della diossina – le ho messe, non senza pena, perché comunque penso che riprendere la riflessione civile si può solo a partire dalle cose della vita e non dalle esigenze elettorali. Poi possiamo pure fare l’ennesimo sforzo di trovare un modo di dare un “voto utile”. Ma davvero è più importante ripartire dalla cittadinanza intesa come attenzione propositiva ai nostri luoghi e alla nostra vita comune.

12 marzo, 2008

Presso gli antichi

Venire a Pompei servirà per ricordare a tutti che la Campania non è solo qualche sacchetto di spazzatura, ma un luogo straordinario di civiltà

Questa frase, pronunciata negli scavi di Pompei dall’on. Massimo D’Alema, a avvio di campagna elettorale, lascia stranito ogni privato cittadino che vive in questi luoghi, ne apprezza le beltà ma, al contempo, sente da mesi e mesi il tanfo della monnezza.
Molti hanno notato che è semplice arroganza del potere a far dire tali cose.
Ma non è che, invece, sono le condizioni di vita differenti che fanno percepire diversamente le cose del mondo? Da un po’ me lo chiedo seriamente.

A tal proposito restiamo un attimo presso gli antichi.
Narra Senofonte che il poeta Simonide un giorno si recò alla corte del tiranno Ierone (tiranno, presso gli antichi, non assume il significato moderno ma riguarda chiunque esercitasse sovranità, governo, dominio – come nota Hobbes).
E gli chiese una cosa fondamentale sul rapporto tra chi esercita dominio e chi no:
“Poiché eri un privato cittadino prima di diventare tiranno e poiché hai sperimentato entrambe le condizioni di vita, probabilmente sai meglio di me fino a che punto differiscono quelle del privato cittadino e quelle del tiranno”.
Al che Ierone gli rispose:
“Giacché tu sei ancora un privato cittadino, aiutami a ricordare quali sensazioni si hanno a vivere da privato, così mi sarà molto facile esporti le differenze tra i due modi di vita”.
“Aiutami a ricordare quali sensazioni”… Notevole passaggio.
E allora il Simonide di Senofonte diede inizio ad argomenti più complessi che si intrecciono con quelli di Ierone lungo il ben noto dialogo sulle dolorose necessità e sui privilegi o meno del comandare.
Ma proprio l’avvio della risposta è illuminante per il nostro caso. Risponde infatti Simonide alla richiesta di ricordargli come sono le sensazioni quando si è privati cittadini:
“Ierone, secondo la mia esperienza, con la vista il privato cittadino può godere e affliggersi di ciò che vede, con l’udito di ciò che si ascolta, con l’olfatto degli odori…” Appunto.

Forse è il caso di smettere di indignarsi. E di riprendere dagli antichi il dibattito – arrivato a Machiavelli e ben oltre - sull’alterità e separatezza della politica e su come si percepisce diversamente il mondo tra chi comanda e chi no. E se per forza deve così essere.

07 marzo, 2008

E’ difficile votare


La mia lontananza da questo Pd la vado ripetendo. Veltroni pareva promettere qualcosa di un po’ meglio anche per noi. Ma così non è.
E’ una lontananza amara ma obbligata. Per chiunque abbia un po’ di onestà intellettuale, giri per le nostre strade, conosca come funziona qui la cosa pubblica, ne sappia di storia del Mezzogiorno e delle sue clientele passate e odierne e creda in un briciolo di dibattito di merito e di ricambio nella rappresentanza. Casini e De Mita: non me lo si può chiedere. L’arcobaleno: nemmeno. Perché il conservatorismo di sinistra non è nelle mie corde da troppi decenni; e perché è stato ed è un pilastro fondamentale del bassolinismo.
Così, è davvero dura andare a votare. Anche per chi è devoto a un diritto conquistato dai padri, conosce il valore delle elezioni per il Parlamento e ci tiene a tenere Berlusconi lontano da Palazzo Chigi.
Norberto propone il voto comunque utile, con argomentazioni ragionevoli. Ci vuole molto disincanto però. E si deve voler guardare molto agli equilibri della politika e nella politika. Come mondo a se stante, separato. Discutiamone ancora (come molti sollecitano nei commenti su D.I.).
Ma a me piacerebbe anche poter usare la campagna elettorale per discutere di rifiuti, di budget della sanità fuori controllo, di fallimento formativo di massa, di esperienze partecipative o della loro assenza, di tassi di povertà più alti d’Europa e di rifiuti tossici mostrati – da oggi nelle sale - nel bel film "Biutiful Cauntri" (il cui regista, impressionato da quel che ha visto e filmato, in una secca intervista sui Rai due ha chiesto pubblicamente le doverose dimissioni di Bassolino).
Le elezioni sono, certo, cosa che attiene alle alchimie della politika. Ma altrove nel mondo sono anche occasione per parlare della vita sociale e civile.
Mi verrebbe – se non sapessi quanto è difficile organizzare alcunché - da proporre un’assemblea dal titolo: “E’ difficile votare qui” oppure “E noi?”.

04 marzo, 2008

Liste e vita civile ferita


Il PD ha chiuso le liste in questo modo.
Il giorno 24 febbraio avevo scritto a Walter Veltroni. Chiedevo, semplicemente, le cose che sentiamo in tanti – come necessità e come speranza possibile – e che in tanti ripetiamo da settimane, da mesi, anche da anni: contribuire a una svolta netta, dare buoni motivi per votare e per votare Pd, favorire un ricambio da cima a fondo nelle candidature campane per Camera e Senato con persone competenti, che si sono misurate coi nostri problemi in modo propositivo, chiudere con Bassolino e lavorare per nuovo governo di centro-sinistra alla regione - innovato nel metodo e negli uomini e le donne - entro quest’anno.
Ovviamente non cercavo una risposta a me. Con una sorta di liberale disperazione – che mi è stata criticata – mostravo la possibilità di effettiva innovazione, tanto più indispensabile in assenza di sistema elettorale democratico e anche di primarie.

Mi pare che ciò che è avvenuto vada in altra direzione:
1. nessuna apertura di crisi in Campania nonostante la situazione di disastro perdurante e l’avvenuto rinvio a giudizio di Bassolino che configura quanto meno una profonda e prolungata incompetenza di governo del presidente che è costata immensamente in termini economici e alla popolazione in termini di salute mentale e fisica e di possibilità di esercitare diritti inalienabili;

2. nessuna apertura di dibattito sulla crisi multidimensionale delle politiche pubbliche in Campania: camorra, povertà, ambiente, sviluppo, formazione ecc.;

3. imposizione di una sorta di commissariamento pro tempore di Massimo D’Alema non a tutela – cessò - di dibattito su problemi e proposte e innovazione ma della sedia del governatore;

4. liste per il Parlamento che fotografano questo “immobilismo punitivo” nel seguente modo:
- un po’ di penalizzazione dei fedeli campani,
- quasi nessuna nuova entry,
- difesa delle nomenclature autoctone sulla base di un sistema random o estemporaneo che prevede la doppia variabile di fedeltà alle componenti interne al Pd (memorabile il lapsus “Ds salernitano” invece del nome) e capacità negoziale con il vertice romano;
- imposizione dal centro di spazi vuoti non già per rinnovare ma solo da far ricoprire da parte di esponenti delle nomenclature forestiere che non trovavano altra collocazione… una sorta di dumping delle beghe Pd nazionali irrisolte sulle candidature della Campania… una specie di discarica di rifiuti politici non trattabili dal centro.

Vi è in tutto ciò un immenso disprezzo per tutti noi, come elettori, come cittadini e come democratici. E un disprezzo per le risorse che nonostante tutto esprimiamo in termini di tante persone attive, disinteressate e competenti e per le nostre legittime aspirazioni all’innovazione di merito, metodo e rappresentanza.
E vi è un ulteriore e più grave disprezzo. Per la vita civile e per la sua stessa possibilità.
Triste.
Quasi disgustoso.

02 marzo, 2008

La peggiore conseguenza

Francamente la peggiore conseguenza di questa eterna storia della battaglia tra chi è pro e chi è contro Antonio Bassolino è che non c’è da anni un decoroso pensiero pubblico su questa città e in questa città, un dibattito di merito sulle vie di uscita. Bassolino e la sua orchestra spettacolo sono messi al centro del mondo. E non lo sono. E vivi o morti che siano, sono di impedimento al poter affrontare la vita collettiva in modo serio.

Prendiamo un esempio qualsiasi. Ieri. Un ennesimo ragazzo, Raffaele, diciannovenne, con pochi piccoli precedenti, è stato ucciso a Forcella, crivellato di colpi. Di domenica mattina, in uno slargo frequentatissimo, nel centro di una grande città europea, a cento metri da dove il cardinale arcivescovo celebra messa.
Si era fermato a parlare con un amico, incensurato, di poco più grande, che pure è stato gravemente ferito. Di che si tratta non si riesce neanche a capire bene. Piccoli sgarri della sera prima in un quartiere senza più controllo da parte dei vecchi boss? Un rivolo molto secondario delle eterne guerre di camorra in un territorio che, appunto, è preda di incerta conquista? Un contatto tra giovanissimi e qualche nuovo avventuriero che minaccia la posizione di qualche altra piccola paranza (gruppo di malaffare armato) in formazione? Nasce un commercio di coca fuori dal circuito previsto e che cambia settimana per settimana e qualcuno che sta vendendo bene corre ai ripari? Non si riesce neanche più a scrutare il paesaggio della città. E nessun politico, nessuno sa parlarne e pensarci su. Quale controllo per il territorio? Come far valere la certezza della pena? E quali occasioni vere da dare e come? Quale nuova economia partecipativa e concorrenza sana intorno a prodotti non nocivi è possibile contro tutto questo? Quale sviluppo – compreso quello manufatturiero – è pensabile affinché non si replichi il nulla di questi anni? Quale politica sulle droghe?
Qualsiasi cosa presa dalla vita di ogni giorno pone analoghi quesiti. Decisivi. E che dovrebbero essere al centro dello spazio pubblico e della politica.
Ma, invece, di queste cose non si riesce proprio a parlare. Non c’è più sensata parola sulla vita e la morte a Napoli. E intanto i problemi macerano e i canali tra città e politica restano recisi. Pericolosamente.
L’ennesima campagna elettorale così fatta – con i sostenitori di don Andonio e i suoi avversari che si contano i possibili candidati in lista - è davvero troppo una città che sta uscendo dai limiti di sostenibilità della sua crisi.