19 ottobre, 2008

Grazie Elvia


Ho avuto difficoltà a scrivere nelle ultime settimane.
Mi ha aiutato a ritornare qui questa lettera che la mia collega e amica Elvia, maestra, di Udine, ha mandato al Messaggero Veneto. Nel leggerla mi sono commosso, confesso. Forse perché ho ricordato alcune brevi scene – ero arrivato da Napoli in America, nel settembre 1957 - di quando ero anche io un bambino straniero. Perciò, grazie Elvia.


Lettera sui bambini stranieri

Che ne sa il leghista Roberto Cota dell’inserimento dei bambini stranieri nelle classi delle nostre scuole?
Ha mai visto una classe all’opera?
Ha mai visto come le bambine e i bambini stranieri e italiani interagiscono tra di loro?
Ha mai visto i bambini e le bambine italiani applaudire i loro compagni cinesi o marocchini, albanesi o ghanesi in quei momenti magici in cui iniziano ad impossessarsi della nostra lingua e dicono in italiano le prime parole e leggono sul libro di lettura comune e scrivono testi che si fanno capire?
Ha mai visto il bambino cinese che alla lavagna scrive i misteriosi segni della sua lingua e tutti i bambini gli corrono attorno e vogliono che gli scriva il loro nome o solo ciao in quell’affascinante alfabeto?
Il leghista Cota ha qualche cognizione di come si apprende una lingua?
Nelle classi di transizione, come lui le chiama, l’apprendimento non può che essere tagliato in modo esclusivo sulla verticalità. L’insegnante e i bambini. Kosovari, rumeni, albanesi, del Bangladesh, del Congo. Bambini che stanno lì in classe, stranieri in mezzo a stranieri.
Il leghista Cota ha mai visto la più vivace delle orizzontalità, costituite da parlanti in interazione fra loro, bambini stranieri e i loro compagni italiani, dentro una classe comune? Li ha mai visti giocare a nascondino e capirsi, e, ancora prima, fare la conta e impararla velocemente, li ha mai visti trafficare con le figurine o fare per terra le piste per le macchinette o giocare insieme al lupo mangia-frutta o dare un calcio a un pallone?
Forse il leghista Cota pensa sul serio che l’inserimento delle bambine e dei bambini stranieri sia una sottrazione di tempo all’apprendimento dei bambini italiani.
Come se l’impoverimento della mente fosse il frutto della diversità in relazione!
Al contrario.
Accade, invece, in luoghi omogenei, in situazioni anche elitarie, non ravvivate da stimoli vivi, prive di parole che si rinnovano e di simpatia.
La mente impoverisce sempre dove non circola il senso umano della vita.
E, nella dicotomia, nel concetto del “noi” e “loro”, diventa anche cattiva.
Il “noi”.
Si coniuga naturalmente al “con loro”.
“Con loro” in classi di non più di venti bambini.
“Con loro” nella scuola e nella lingua italiana.
Nella nostra lingua bellissima che si arricchisce anche quando impariamo a dirci ciao in tante altre lingue; nella nostra lingua bellissima che i piccoli stranieri si impegnano ad apprendere anche in corsi extrascolastici, come fanno davvero, ma sapendo che appartengono ad una classe di riferimento certa e anche loro.
L’empatia è naturale fra bambini e bambine di lingue e religioni diverse.
L’empatia, non la tolleranza offensiva
L’empatia, il sale di una società sana, di un mondo adulto e maturo.
L’empatia, come fatto spontaneo dei bambini, in primis, che solo la cattiva coscienza o meglio l’ incoscienza vergognosa reprime, fra vanto ed ipocrisia.
L’empatia, che distrugge alla radice bullismo ed intolleranza, come non potrebbero mai i cinque in condotta.
Infine l’empatia, pietra angolare che i disinvolti costruttori scartano, ma che è là e resta là, capace di sorreggere solide case.

Cordialmente
Elvia Franco (maestra in pensione), Udine.

L'immagine è tratta da Worlmapper e assegna ai paesi dell'Europa e dell'Africa una superficie proporzionale al numero complessivo dei bambini.