30 novembre, 2008

Come una pestilenza

Nei giorni scorsi vi erano state le dimissioni dell’assessore Cardillo che ha retto per anni il bilancio della città. E non ho potuto che pensare, con un senso di vero sgomento, al terrificante debito pubblico che ha lasciato ai nostri ragazzi.

Poi ieri si è ucciso l’assessore Nugnes. E non ho pensato alle imputazioni della magistratura contro di lui. Né mi è venuto di escogitare interpretazioni o di azzardare dietrologie. Quando una persona si toglie la vita – perché non ce la fa a reggere il peso di ciò che gli è intorno misurandolo con quel che ha dentro - vi è sempre un elemento radicale di mistero e di dolore. E io sarò molto all’antica e poco politico ma ho pensato ai suoi estremi minuti, ai giorni terribili che li hanno preceduti, ai suoi figli che vivranno senza il padre.
Così ho letto e anche condiviso molte considerazioni e commenti.
Ma quel che sento è un senso di soffocamento più forte di ogni ragionevole considerazione, qualcosa di oppressivo in modo pre-politico, semplicemente umano.
E’ come se si stesse tutti impotenti, imprigionati da una pestilenza che, infida, sta già qui e che può ancora espandersi. E’ un marasma diffuso che, ogni volta negato a gran voce, viene invece puntualmente confermato dalle atmosfere che ci affliggono oltre che dagli eventi. Una pestilenza che minaccia la possibilità stessa di avere uno spazio pubblico e di esercitarvi le volontà nell’interesse generale, secondo regole, in un clima civile.
Insieme ai suoi artefici, un’intera modalità della politica forse ne sarà travolta da questa pestilenza. Ma anche la città tutta e noi ne siamo e ne saremo vittime. Sarà dolorosa e lunga la constatazione dei danni. E ancor più la riparazione.

20 novembre, 2008

Convincetemi che, forse, ci sono ancora vie da esplorare

Lo so già che quello che sto per dire può apparire poco ragionevole e tanto naif. Ma ancora una volta – forse proprio a dispetto di tutto quello che vediamo in giro - mi fermo a pensare alla nozione di ‘speranza’. Ci penso prima e di più che alla politica o a quella cosa lì che chiamano così e che invece non lo è perché è più incattivita che smaliziata, più piena di teoremi che di confronto, più dedita al mantenimento del potere che al suo legittimo uso per fare le cose, più rivolta all’interesse dei singoli che all’uso delle capacità singole per l’interesse comune.

“La politica è un’altra cosa”. Questa frase la si butta addosso a chiunque, povero ingenuo, vuole un altro tipo di politica o ci spera. Ma può essere rivoltata. Esattamente: la politica è proprio un’altra cosa.
Ma è possibile? Can we or can’t we? Possiamo o non possiamo? Questa è la questione.

Beh, io non riesco a togliermi di testa che Obama fino a pochi anni fa faceva l’animatore di comunità a South Chicago. Dove da anni lavorava sulla base di un’idea fattiva di potenziamento democratico dal basso e della capability building, la costruzione di capacità, anche contro la normale paura umana di cambiare… A partire da teorie e lunghe pratiche di un suo maestro che è stato un altro signore di Chicago, certo Saul D. Alinsky
O si crede che Obama sia uscito dall’uovo di Pasqua? O da una forma di super ‘cazzimma’ politica buona che può essere solo statunitense?

Si sa che, insieme ad altri, in modi assai vari e diversi, nell’italianissima Partenope, ben lungi dai luoghi americani della grande tradizione partecipativa, faccio parte di quelli che hanno continuato a pensare e ad agire per costruire capacità dal basso e a insistere nel pensare e nel dire che questa è la politica di cui c’è disperato bisogno.

Ma torniamo al ‘possiamo o non possiamo’ e alla speranza. Come può ritornare la speranza?
Mi piacerebbe che proprio di questo ci si interrogasse. Partendo ancora una volta da noi. E da Napoli com’è.
Facciamo per una volta delle domande pertinenti, di cui non abbiamo già le risposte.
Ci sono buoni argomenti per confutare l’idea che per farla riemergere la speranza… serve un po’ di santa indignazione e altrettanta ingenuità propositiva e anche, però, di teoria, linguaggio, stile e metodo davvero innovativi? Ma, al tempo stesso, quali sono i nessi possibili tra capacity building e rappresentanza, qui da noi?
Ecco: convincetemi che per far rinascere speranza ci vuole per forza tanta ‘cazzimma’ navigata, buonissima tattica, uso della famosa immagine e frequentazione costante del potere. O, al contrario, convincetemi che basta fare tante belle cose ‘dal basso’. Oppure convincetemi che, forse, ci sono ancora vie da esplorare….

18 novembre, 2008

Quale passo di danza sull’emergenza istruzione nel Sud?

In attesa di capire se ci sarà un’iniziativa intorno ai temi del post precedente, torno sull’argomento sollevato dagli stati generali della scuola del Sud tenuti a Castel Volturno.
E mi concentro sul merito. Cosa possono concretamente fare le regioni del Sud per la scuola, la formazione e per un primo lavoro legale e dove si impara?
Nel mio intervento lì e in una serie di altri suggerimenti scritti avevo ipotizzato delle misure. Le riporto:

1. Va finalmente fatta ovunque l’anagrafe dei bambini e ragazzi che hanno diritto all’istruzione pubblica da 3 a 16 anni.
2. Si deve subito poter fornire un’occasione – una scuola di seconda opportunità - a tutti quelli che sono minori di età e che hanno già abbandonato la scuola e la formazione. Riproporre loro la scuola standard come per gli altri è inutile. Non ci riescono a starci dentro e se ne rivanno.
3. Vanno sostenute tutte le attività che funzionano a favore dei nostri ragazzi e rafforzate le reti tra scuole e con le altre agenzie dei territori quali la formazione professionale, i centri sportivi e giovanili, le associazioni, le parrocchie entro consorzi finalizzati a raggiungere chi è fuori da ogni formazione e povero di istruzione e di sostegno adulto competente (soldi diretti a chi fa le cose, come fu per la prima 285/97 ma con un monitoraggio esterno forte e imparziale).
4. Va creata una comune regia tra le regioni meridionali sui temi, tra loro integrati, della pubblica istruzione, sanità, welfare. Che ottimizzi le risorse che sono oggi sparpagliate in cento rivoli e capitoli di spesa centrali e locali.
5. Al contempo la situazione richiede un atto simbolico unilaterale delle regioni del sud a protezione e difesa dei suoi bambini e ragazzi e di quei bambini e ragazzi che, migranti, raggiungono le nostre coste. Ci vuole subito un ombudsperson, un garante per l’infanzia e l’adolescenza nel Sud e del Sud che concentri il lavoro sui diritti dei bambini, dei ragazzi e delle giovani persone povere, italiani e stranieri, escluse di fatto dai diritti.
6. Vanno costruite, con lo strumento delle leggi regionali, vere e proprie “zone di educazione prioritaria”, sul modello francese, nelle aree delle nostre regioni dove più drammatica e annosa è la crisi dei diritti dei bambini ed adolescenti poveri e dove tale stato di cose genera maggiore allarme sociale: Napoli, Caserta, Cagliari, la Locride, Crotone, Reggio Calabria, Bari, Taranto, Palermo, Catania, Gela, Ragusa eccetera.
7. Bisogna favorire azioni straordinarie rivolte ai genitori poveri e, in particolare, alle mamme giovani a sostegno della loro funzione di cura insostituibile a partire dalle scuole dell’infanzia e primarie.
8. Ci vogliono più asili nido e più scuole dell’infanzia; ci vogliono più maestre e maestri elementari e più professori delle medie. Meglio pagati. Organizzati per aiutare ciascuno innanzitutto nell’alfabetizzazione strumentale e culturale di base (gli obiettivi di apprendimento da perseguire in via prioritaria, pena l’esclusione precoce da ogni opportunità nella vita, sono quelli delle indicazioni nazionali e quelli OCSE sulla lingua materna, la matematica, le scienze e il problem solving).
9. Si deve lanciare un grande patto nazionale tra le nostre regioni, i sindacati, le imprese, gli istituti di credito per dare avvio a misure straordinarie di learnfare – un welfare dell’apprendimento - fuori e dentro il lavoro. Con la parola d’ordine “il primo lavoro deve essere legale”. Si tratta di prevedere ore obbligatorie, pagate, di alfabetizzazione e apprendimento professionale per chi ha lasciato la scuola troppo presto. Si tratta anche di favorire contratti veri e propri, di studio-lavoro per i giovani di 17 anni che abbiano completato il nuovo obbligo, impegnandoli in un monte ore di formazione incentrato sulle competenze professionali e di cittadinanza e combinate con ore di lavoro retribuito con contratto legale, che consenta l’affrancamento dal lavoro nero e da altri rischi.
10. Va favorita la effettiva costituzione di auto-imprese individuali e/o solidali, basate su misure a sostegno dell'avvio e di accompagnamento almeno triennale e che prevedano la continuità dei processi formativi, potenziate anche da un sistema di piccoli prestiti restituibili.

Queste e altre proposte di merito si sono nominate, da parte di tanti. Ma va riconosciuto che Castel Volturno è stata prevalentemente un’occasione per l’ indignazione e l’incontro. E gli amministratori regionali hanno favorito una dimensione “da movimento” e da coordinamento. Va bene. Ma non basta. Infatti la risposta ai tagli del governo nazionale ha bisogno proprio di una capacità di governo e anche legislativa da parte delle regioni meridionali.
Su questo la Sardegna – non presente agli stati generali – appare forse più avanti e più concreta. Il presidente Soru ha già fatto passare un decreto esemplare: scuole primarie e medie a tempo pieno in tutta l’isola dall’anno prossimo, con le ore concentrate proprio sulle competenze alfabetiche. Erano stati aboliti 27 carrozzoni delle comunità montane e con un risparmio di 15 milioni di euro annui si è armata la delibera sul tempo pieno per tutti. Mi pare che sia questo il passo di danza da seguire.

14 novembre, 2008

Riflettere sulle liste civiche ma senza secondi fini


Da tempo in molti prospettano il lancio di lista o liste civiche a Napoli.
Su ciò sono stato intervistato dal Corriere del Mezzogiorno di ieri, ripreso da d.l. con il bel titolo "Civicness (?)"… con tanto di punto interrogativo, e di nuovo stamattina ne ho parlato via radio con Norberto Gallo.

La sostanza della faccenda va riassunta in tre punti:
1 – chi oggi propone queste liste non ha alcuna tradizione civica ma è ceto di apparato politico; dunque dice di fare una cosa ma è immerso culturalmente e politicamente in un’altra;
2 - molti che propongono liste vogliono farlo trasversalmente a destra e sinistra, attaccando, di fatto, il bipolarismo;
3 – nessuno di costoro fa analisi sobria e severa degli ultimi anni di amministrazione comunale, provinciale e regionale a Napoli né individua temi, contenuti, proposte né tanto meno modalità partecipative su cui in genere si cimentano le liste civiche.

Penso che sarebbe cosa seria e forse doverosa - a questo punto - che chi ha fatto l’esperienza autentica di una lista civica, in primis Decidiamo Insieme (ma forse anche altri) facesse di nuovo un bilancio onesto dell’esperienza, in un luogo pubblico, fornendo documentazione e consentendo un dibattito libero sull’argomento. E dunque senza secondi fini.
Ne siamo capaci? Magari entro l’anno solare?

10 novembre, 2008

Miriam Makeba (Johannesburg 1932 - Castel Volturno 2008)

Ho partecipato agli stati generali per la scuola del Sud.
Che sono finiti con l’ultimo concerto di Miriam Makeba. La sua morte in quelle lande, con tante persone nere sfruttate al suo ultimo concerto, generoso – lei che aveva smesso di cantare e ballare in pubblico e che proprio lì è tornata a farlo - ha il segno quasi della poesia.
Ma resta un tormento dentro… che i nostri luoghi portano con loro tristezza, dolore, male, fine delle cose buone.
Agli stati generali ho fatto una relazione tecnica sui legami diretti e dimostrati tra il perdurare della povertà e quello della povertà di istruzione nel Mezzogiorno… cose che ripeto qui e altrove, un po’ all’infinito. E che oggi sono state riprese su Repubblica nazionale anche da Pirani che cita questo luogo.
I giornali hanno posto l’accento sulle solite polemiche locali: era un clima troppo rifondarolo, il rappresentante del PdL è stato verbalmente aggredito sia pur dopo varie provocazioni. Eccetera.
Lì c’era tanta gente attiva nelle scuole che si è confrontata. E delle proposte sono emerse. Su queste sono contento di avere lavorato. Faranno però fatica a farsi strada. Le riprenderò per esaminarle in dettaglio nei prossimi giorni. Poi c’è stata anche un po’ di demagogia e quel bastare a se stessi che non basta. In particolare, a me ha dato fastidio che gli enti locali del Sud, spesso e da tempo retti dal centro-sinistra, non sappiano mai raccontare la loro parte nel disastro della mancata formazione al Sud… perché una parte l’hanno avuta e non stiamo così messi solo a causa della Gelmini.
Comunque lì c’erano tanti ragazzi e prof. bravi. Di scuole dove è davvero difficile andare ogni mattina a insegnare. E per queste cose e la tenacia di volerne parlare ci vuole rispetto.
A me di Miriam Makeba non vanno via dalla testa tre cose: lei che canta Malaika prima piano piano e poi e poi..., una sua famosa litigata con suo marito, Stokley Carmaichael, pantera nera degli anni sessanta, di un maschilismo insopportabile, un abbraccio con Mandela in una Johannesburg in festa. E’ morta nella piana dei Casalesi a sostegno di un ragazzo di meno di trent’anni che ha scritto un libro che ci è servito. Ma che non basta. Nella piana dove gli uomini neri lavorano sotto i capi bastone, nella Caporetto italiana del secondo millennio.

05 novembre, 2008

Notte beata notte

Sono stato la notte incollato alla tv Sky di casa di mia mamma. Ché le tv nostrane erano imbottite dei nostri politicanti. Che dicevano cazzate.
Stavo solo come davanti a un miracolo che si doveva fare strada. Forse. Chissà. Magari fosse. Tutti dormivano. Sorseggiavo una tisana dopo l’altra. Ho rivisto nove volte il pomeriggio di riposo di Obama. A giocare a basket coi vecchi amici, con la t-shirt rigata dal sudore. Gente normale, che Iddio la benedica.
Ho vissuto le prime ore di incertezza. Guardavo ammirato le file con le facce delle donne e dei ragazzi di tutti i colori, sorridenti o assorti, coi cani al guinzaglio o la bici alla mano, pazienti, sotto l’acqua per ore… a votare. Facce pacate, decise. Che entravano nei bar e nelle chiese, nelle lavanderie e nelle palestre delle scuole. Dove c’erano i seggi.
Quando, verso le due e trenta, ho visto che sulla repubblicanissima rete Fox il tremendo Rowe, lo stratega di Bush, ammetteva – con tono tra il malinconico e l’ammirato - che la macchina di Obama stava mietendo davvero il territorio, ho iniziato a capire. Incredulo ed esaltato.
Poi ho visto sulla Cbs e la Cnn tingersi di blu gli stati che tagliavano la via a McCain. Uno dopo l’altro: le contee decisive dell’Indiana, l’Ohio della classe operaia irlandese e italiana, conservatrice fino al midollo, il New Mexico dei latinos che hanno girato il loro voto, la Florida che si è riscattata, con i figli dei profughi cubani che non credono più a Cheney e Bush.
Mi è venuta su una commozione vera. Mi sono dovuto alzare e uscire sul balcone a respirare nella notte. So che non è tutto oro quel che luccica e che forse ci sarà disillusione. Ma ero contento e emozionato fino alle lacrime.
E ho pensato a mia mamma americana che ora non capisce nulla ma che ha speso una vita per queste cose. Ho pensato che solo sei anni fa Obama girava per la periferia Sud di Chicago a fare le assemblee sulle cose di interesse comune, comunitario, con le procedure della democrazia deliberativa, costruendo programmi possibili dal basso. Le cose che in tanti diciamo, inascoltati, che si possono e devono fare. Ho pensato al villaggio del padre di Obama, in Kenya, vicino Kisumu, sul grande lago Vittoria. Mi sono venuti alla mente gli alti alberi di jakaranda tinti di viola, affacciati su quelle acque, tra le casupole di legno e lamiera.
Mi stavo emozionando troppo. E sono andato vigliaccamente a dormire mentre sugli schermi si vedeva affluire la grande folla di Chicago. Che andava a riempire lo stesso parco dove nel 1968 ci fu la protesta contro la convention democratica, quella con gli scontri e i morti, quella della canzone di Stills, Nash e Young.
Notte beata notte. Mi sono svegliato presto. E come una benedizione, riaccendendo la tv, ho sentito l’ammissione elegante e seria dello sconfitto e il magnifico discorso di Obama davanti a una folla immensa. Che diceva che avrebbe fatto anche cose su cui si poteva non essere d’accordo e che lui avrebbe ascoltato soprattutto il disaccordo e che non era una questione di presidenza ma molto, molto di più. Così. In modo piano. Con quella faccia leale, diretta. Bella ma bella.
E noi – ho pensato – che siamo costretti qui a essere pure un po’ invidiosi. Perché abbiamo questi qui sempre davanti. Brutti ma brutti. Sempre loro, sempre gli stessi, elezione dopo elezione… Sì, pure McCain pareva non solo mille volte meglio del Berlusca ma pure di Veltroni.
Ma ora chi se ne importa. E poi si vedrà. Si vedrà.
Stamattina sono uscito diverso per il mondo. Perché la notte è stata beata notte.

02 novembre, 2008

Inizio novembre

Sto in attesa del 4 di novembre. Con speranze e paure. Le elezioni americane sono – mai come questa volta - tali da spingere tutte le cose, nostre comprese, verso una prospettiva o verso l’altra. E so che nulla lì è scontato. Dunque sono trepidante.

Giovedì sono uscito prima dal ministero… che è ritornato a chiamarsi miur. Ossia “dell’istruzione, università e ricerca”… senza più la parola “pubblica”.
Avevo letto nei giorni precedenti il decreto 133. Che non è una riforma e non va chiamata così. Ma che adesso è legge dello stato e che taglia quasi 8 miliardi di euro alla scuola… pubblica.
La sua sostanza è banale: riduce le ore di scuola per i bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, dai 3 ai 10 anni. E lo fa lì dove non vi è tempo pieno. Ma il tempo pieno non è egualmente distribuito nel territorio italiano. A Milano è l’89,5 %, a Torino il 65,5, a Bologna il 51,5. E a Napoli solo l’1,5… Ci sono posti d’Italia dove si è pensato ai bambini e alle donne più che da noi. Da noi bande di amministratori incapaci, in tutti questi anni, non hanno dedicato tempo al tempo pieno. E così è in tutto il Mezzogiorno. Dove il tempo pieno non raggiunge la media del 9 per cento delle scuole. Il decreto 133 fotografa tale situazione e sancisce che i bambini del Nord avranno il mantenimento di risorse che verranno contestualmente decurtate a Sud. Perché al Nord la scuola di base a orario lungo sarà più o meno salvaguardata almeno nel 50 percento dei casi. E, invece, i bambini del Sud avranno meno scuola pubblica subito; usciranno alle 12 e trenta dalle nostre prime elementari già l’anno prossimo e il tutto cadrà altrettanto subito sulle donne meridionali, a suggello del fatto che tanto nel 62 percento dei casi sono fuori dal mercato del lavoro e che dunque possono attendere i loro figli al ritorno da scuola.

Oggi su Repubblica Napoli ho ripreso questi temi. E andrò a parlarne agli stati generali della scuola del Sud che si terranno venerdì e sabato prossimi a Castel Volturno. Dove spero che gli amministratori delle regioni meridionali si assumano delle dirette responsabilità – in termini di autocritiche e di proposte. Per una volta almeno. E che non facciano solo gli anti-Gelmini d’accatto.

Sì, giovedì sono uscito prima dal ministero e ho attraversato i cortei che avevano invaso Roma. Ne sono rimasto colpito perché erano pieni di proposte e non solo di rabbia e perché erano assai poco ideologici….
Sarebbe bello se rimanessero e crescessero così. Ma temo che la solita politica nostrana gli metta addosso il suo linguaggio, le sue bandiere, le sue ignobili vetustà…

La foto è di Guido D'Amico e non c'entra nulla se non con il titolo. Ma di foto di tailleurs e di tagliatrici, di Palin e Gelmini ce n'è fin troppe in giro. Meglio le brume.