20 novembre, 2008

Convincetemi che, forse, ci sono ancora vie da esplorare

Lo so già che quello che sto per dire può apparire poco ragionevole e tanto naif. Ma ancora una volta – forse proprio a dispetto di tutto quello che vediamo in giro - mi fermo a pensare alla nozione di ‘speranza’. Ci penso prima e di più che alla politica o a quella cosa lì che chiamano così e che invece non lo è perché è più incattivita che smaliziata, più piena di teoremi che di confronto, più dedita al mantenimento del potere che al suo legittimo uso per fare le cose, più rivolta all’interesse dei singoli che all’uso delle capacità singole per l’interesse comune.

“La politica è un’altra cosa”. Questa frase la si butta addosso a chiunque, povero ingenuo, vuole un altro tipo di politica o ci spera. Ma può essere rivoltata. Esattamente: la politica è proprio un’altra cosa.
Ma è possibile? Can we or can’t we? Possiamo o non possiamo? Questa è la questione.

Beh, io non riesco a togliermi di testa che Obama fino a pochi anni fa faceva l’animatore di comunità a South Chicago. Dove da anni lavorava sulla base di un’idea fattiva di potenziamento democratico dal basso e della capability building, la costruzione di capacità, anche contro la normale paura umana di cambiare… A partire da teorie e lunghe pratiche di un suo maestro che è stato un altro signore di Chicago, certo Saul D. Alinsky
O si crede che Obama sia uscito dall’uovo di Pasqua? O da una forma di super ‘cazzimma’ politica buona che può essere solo statunitense?

Si sa che, insieme ad altri, in modi assai vari e diversi, nell’italianissima Partenope, ben lungi dai luoghi americani della grande tradizione partecipativa, faccio parte di quelli che hanno continuato a pensare e ad agire per costruire capacità dal basso e a insistere nel pensare e nel dire che questa è la politica di cui c’è disperato bisogno.

Ma torniamo al ‘possiamo o non possiamo’ e alla speranza. Come può ritornare la speranza?
Mi piacerebbe che proprio di questo ci si interrogasse. Partendo ancora una volta da noi. E da Napoli com’è.
Facciamo per una volta delle domande pertinenti, di cui non abbiamo già le risposte.
Ci sono buoni argomenti per confutare l’idea che per farla riemergere la speranza… serve un po’ di santa indignazione e altrettanta ingenuità propositiva e anche, però, di teoria, linguaggio, stile e metodo davvero innovativi? Ma, al tempo stesso, quali sono i nessi possibili tra capacity building e rappresentanza, qui da noi?
Ecco: convincetemi che per far rinascere speranza ci vuole per forza tanta ‘cazzimma’ navigata, buonissima tattica, uso della famosa immagine e frequentazione costante del potere. O, al contrario, convincetemi che basta fare tante belle cose ‘dal basso’. Oppure convincetemi che, forse, ci sono ancora vie da esplorare….

1 commento:

pirozzi ha detto...

non ti voglio convincere di niente. soo metterci sull'avviso che non si tratta, spero, di giocare a inventarsi "secondo me la politica è...". ma forse di cominciare seriamente a cercare e a scoprire qunte forme la politica oggi, ma forse lungo almeno gli ultimi 50 anni, assume e non solo nelle nostre parrocchie. la politica la democrazia, intendo.
bisogna avere l'umiltà, per esempio, di riflettere se, come, quanto siano politiche le pratiche anche quotidiane di chi, anche senza strategia, tatticamente costruisce spazzi - dai luoghi alle relazioni -anche solo minimamente differenti da quelli che la "democrazia" predispone, per cui sei membro della compagine se sei mensuarbile negli spazi già organizzati. vedi la miseria dei discorsi sulla partecipazione e sulla stessa rete. come riesco a dire frettolosamente e male, il problema è riprendere a considerare le pratiche, invece, dell'incommensurabilità rispetto ai "quadri", economici, politici etc. penso che una lettura di tante manifestazioni odierne, ma forse di tanta storia, debba esser fatta al di fuori degli schemi "ma voi che proponete?" e accettare che siano incompatibili, che love not war e lennon not lenin. per decenni, forse nei gloriosi trenta, la società affluente ha favorito le fughe e gli spazi dove fuggire. è stata "tollerante". l'estremismo ideologico, la militarizzazione di teste e braccia, la riduzione della vita a amico-nemico, la riduzione delle differenze alla "lotta per il potere" hanno fatto il loro nel processo di impoverimento, e la politica ha avuto a che fare solo col potere. Ma oggi, che l'affluenza (anche alle urne) è diminuita, la democrazia, e la politica esistono solo se accettano l'incommensurabilità come fenomeno naturale della democrazia, come lo spazio/tempo della costruzione continua di assetti in cui siano possibili processi di libertà (di) e non solo di distribuzione delle risorse. tutto questo non è quello che "secondo me", nei miei temi in classe, dovrebbe essere, ma è quello che accade continuamente e si può vedere se uno cambia occhi. ed è una produzione quotidiana: tò èu parà micrón. senza questo diritto di cittadinanza dell'incommensurabilità, senza un agire differente quotidiano a me forse della politica non me ne frega. lo so che si sono altri mille aspetti, ma: a) devono posizionarsi in relazione con questo territorio di base; b) ognuno faccia il suo gioco. ma non si azzardi a proclamarsene specialista disabilitante (fulminante saggio di Illich) "perchè la politica è un'altra cosa".
insomma, senza spazi pubblici di discussione almeno sprovincializzante di tutti i minileninisi - o lenonismi, che non sono i lennonismi...- non si va da alcuna parte. e l'oggetto "politica" sarà semplicemete e volgarmente il prodotto delle nostre stanche risorse cognitive, e non la loro straniata messa alla prova con la complessità; saranno le formule prima della riflessione.
sorelle di tutto il mondo...unitevi!