29 gennaio, 2008

A soli tre giorni lavorativi dalla caduta del governo


Nei corridoi del ministero è come se la gente camminasse più lenta. Un dirigente molto attivo va fuori a pranzo anziché comprarsi il solito panino da mangiare al volo. Non ci sono gli andirivieni dalla camera e dal senato per procurare dettagli tecnici sui dispositivi in esame al Parlamento. Le agende dei sottosegretari si svuotano. E all’improvviso niente più richieste impellenti. Finisce d’incanto la pressione sulle cose da ultimare: entro stasera, entro oggi, era già da fare ieri, domattina questa cosa qui e anche quest’altra. Niente più. Persino i telefoni delle altre stanze suonano di meno. Ecco finalmente una chiamata. Un funzionario che chiede di mettere in fila la roba che serve a dire le cose che sono state fatte in questi pochi mesi. E’ per la campagna elettorale - dice. Rispondo che già le hanno. Insiste. Gli dico dove sono state pubblicate, elenco i siti. Insiste ancora.
Stancamente, per non litigare, ricomincio a elencare. Istituti professionali ritornati allo stato; normativa rigorosa per i passaggi di classe e corsi di recupero pagati dallo stato; esami seri; i budget delle scuole semplificati da trenta a due sole voci, entrate e uscite; decine di migliaia di precari che già da anni lavoravano a scuola immessi in ruolo; le nuove indicazioni, coi traguardi e gli obiettivi belli chiari, per la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola media; l’obbligo di andare tutti a scuola fino a sedici anni, come nel resto d’Europa e il regolamento e le cose che si devono sapere, tutti.
Ascolta. Mi pare che stia scrivendo. Poi mi chiede scusa: forse qualcun altro lo ha chiamato. Forse. Dopo quattro ore – pare un tempo interminabile - squilla il telefono. E’ una scuola di Catanzaro. Mi chiedono ora come si fa. Gli rispondo che si fa lo stesso. Un sindacalista burrascoso – a cui non andava bene niente e che, a ogni misura presa, diceva che ci voleva ben altro – entra nella stanza di fronte. Lo sento parlare con preoccupazione di quel che sarà: del nuovo obbligo, dei fondi stanziati, tutto perso e tutto perso. Ha un tono responsabile e accorato che mai ha avuto. Mi sale una rabbia feroce. La tengo a bada a stento. Penso: sono vestito con giacca e cravatta, non posso andare di là e dargli una testata in faccia, meglio che mi acquieto.
Un capo servizio scende dal quarto piano. Smadonna. Menomale che c’è un altro che è incazzato – penso. Gli chiedo cos’ha.
Mi racconta gli anni della Moratti in due semplici parole: fermavano tutto. Come? – gli domando. Semplice – risponde – si faceva di tutto perché le cose non si facessero. E, riscaldandosi, aggiunge che nulla doveva funzionare qui… che odiavano la scuola pubblica, sì, la scuola quella che sa fare le cose e che ora di nuovo tutto si sta rallentando e si fermerà.
Cerco di pensare che comunque i ragazzini a scuola ci vanno vivaddio e che le cose nel mondo vero si muovono. Ma certo è che qui dentro, dalla caduta del governo, in tre soli giorni lavorativi, è scesa una cappa che tutto arresta, una coltre ovattata e lenta come in un incubo, ammantata di rinuncia.

27 gennaio, 2008

Un venerdì sera

Venerdì sera. Fa freddo. Torno da una scuola elementare di Cesa, vicino Gricignano. E’ per la giornata della memoria. I ragazzini hanno fatto dei bei lavori a partire da un magnifico documentario italiano del 1964, di Gabriele Palmieri, sul campo di concentramento nazista per soli bambini, di Terezin in Boemia. Dove morirono 15.000 bambini. Dei quali ci sono rimasti disegni e poesie. Terribili e di struggente bellezza.
Al ritorno passo a fianco alla grande base della US navy, circondata dalla rete con sopra il filo spinato, elettrificata, illuminata a giorno. Dentro casette color pastello con tanto di back yard, scuola con super play ground. Pista di atletica, supermarket come su una Main street di una cittadina dell’Oklahoma e campo da base ball, immancabile. Fuori i cumuli di monnezza. Impressionanti. Ogni cinquanta metri. Ovunque. Alti.
E’ una scena estrema: quasi la materializzazione della parola “separatezza”.

Dal pomeriggio si annuncia una iniziativa del cardinale Crescenzio Sepe che, come per la peste del Seicento e i bombardamenti dell’ultima guerra, si rivolgerà, straordinariamente e fuori dalle date canoniche, a San Gennaro, portando le ampolle col sangue in processione dentro il Duomo. Decido di andarci. Per curiosità. Sono infatti afflitto dall’idea che le nostre pene civili siano in mano a un poliziotto, un generale dell’esercito e un vescovo. Devo vedere coi miei occhi. Provare a capire. Entro. La grande navata centrale è gremita e silenziosissima. La omelia ha i toni solenni e forti delle grandi occasioni. Cerco di essere equilibrato; e ascolto con cura. E’ un richiamo, anche fortemente auto-critico, alla responsabilità collettiva per lo stato penoso e colpevole di Napoli. Invoca l’urgenza della responsabilità collettiva e però anche di quella di ciascuno. Sono parole misurate e inappellabili. Che evocano una qualche forma comunitaria, una qualche prima persona plurale.
Non è la mia cultura quella dell’arcivescovo. Ma riconosco che c’era qualcosa di simile a quello che ho voluto chiamare la necessità della riparazione, tikkun. Che deve voler dire cose e modi nostri, di noi. E dunque miei.
Esco nel freddo. Penso che sia stata l’unica occasione pubblica da molto tempo che provava davvero ad essere all’altezza della situazione che c’è in città.
Il “rimboccarsi le maniche”, pronunciato nel pomeriggio, sempre di venerdì, alla fine dell’intervento di Bassolino per ottenere i voti di fiducia al consiglio regionale, senza dire cosa è successo e perché e quale parte ha lui e tutta la politica campana in questa storia che ci getta nella vergogna - a confronto del testo di Sepe - è solo la sciatta ripetizione delle retoriche che hanno condotto al disastro – senza neanche più una briciola di mestiere retorico. Semplicemente penoso.
Ma – ben al di là di questo - resta che la politica e la scena civile pubblica della città sono afone: non trovano e non sanno neanche cercare toni e parole adeguati alla semplice presenza in scena. E tanto meno al compito. Terribile.

Franco Spinelli mi ha intervistato a Cesa in occasione della giornata della Memoria per Pupia TV, qui il filmato.

23 gennaio, 2008

Domande che hanno cittadinanza

I primi passi di De Gennaro confermano che è proprio finito il ciclo politico ed il tempo dei proclami propagandistici di fronte ai disastri che vengono avanti. E finalmente si riparte dalle cose da fare. Adesso. Ben sapendo che i piani operativi sono tali perché hanno capacità di adeguamento immediato, sulla base degli avvenimenti. E che perciò hanno bisogno – a differenza dei proclami - di essere accompagnati dalla riflessione sulle azioni intraprese.
E’ per questo che le cose in cantiere sui rifiuti implicano delle semplici domande. Non si tratta – sia ben chiaro – di domande strumentali o oppositive ai proponimenti di De Gennaro. Ma di ragionevoli quesiti di merito, propositivi, da parte di cittadini preoccupati. Che si interrogano su come le cose avvengono perché siano davvero portate a buon fine. Sono domande che stanno nei pensieri di tanti in questi giorni. E che meritano piena cittadinanza. Eccole.
Si aprono tutti insieme i siti individuati in modo da distribuire le pene tra le popolazioni?
Vi è corrispondenza tra capienza effettiva dei siti e divisione annunciata: per fare un solo esempio, Villaricca ha una capacità corrispondente ai metri cubi annunciati? E dunque bastano i luoghi scelti o ne servono altri? Ed è vero che si possono individuare nell’entroterra campano siti con terreni argillosi che aiuterebbero in queste condizioni di urgenza estrema?
E’ l’opzione puramente militare quella che si sceglie per affrontare le crescenti opposizioni intorno ai siti indicati o è prevista una qualche forma di “metodo del confronto” e di pattuizione civile con le popolazioni che, qualche volta, ha funzionato anche da noi in passato e che consente di aprire i siti ma a condizioni chiare? Per esempio sulle quantità, la qualità dei rifiuti e i tempi certi per le chiusure future si può negoziare seriamente? E’ pensabile provare ad essere ancora più convincenti e dunque fornire a breve una tempistica?
Vi saranno misure chiare e dunque specifiche e ben comunicate su quelle azioni di più lungo respiro che De Gennaro ha nominato: adeguamento dei Cdr, esclusione della Fibe, avvio della inertizzazione delle balle non eco? Ed è proprio vero che – come annunciato - si riuscirà a dividere qualcosa e a rendere un po’ più degradabile la monnezza che è per strada e a fare delle ecoballe almeno un poco più eco? E come?
Ed è possibile, intanto e in aggiunta, annunciare un sostegno a chi fa raccolta differenziata, nei comuni virtuosi della Campania e tra i cittadini ligi? E’ pensabile - per premiare i comportamenti adeguati alla magnitudo della crisi – predisporre e rendere mediaticamente visibili aree specifiche, intanto, dedicate alla raccolta di vetro, plastica, carta, metalli entro gli stessi siti individuati, favorendo la ripresa di un circuito differenziato? E si può togliere subito, a monte, dal resto dei rifiuti, il cartone e gli imballaggi con l’obiettivo immediato di ridurre i volumi del 20-30%, come segnale di effettiva innovazione?
Avremo davanti a noi mesi di dibattito sulle prospettive di come smaltire davvero la monnezza. Ma ora le strade vanno liberate perché la città deve uscire dall’emergenza acuta. E non si può che sostenere il commissario. Ma, al contempo, la città deve anche vedere l’inizio di una virata, nel metodo e nel merito della questione rifiuti. Che premi comportamenti ragionevoli. Perché deve poter credere che si vuole uscire anche dall’emergenza cronica.

Questo articolo l'ho scritto per la Repubblica Napoli del 24 gennaio.

20 gennaio, 2008

Riparazione e misura

Mentre i rifiuti per strada hanno superato le 250.000 tonnellate, escono i dati Istat sulle condizioni economiche delle famiglie italiane. E proprio la Campania conferma la percentuale più alta d’Italia di famiglie in difficoltà a sostenersi. Che, in generale, sono in aumento.
Bisogna capire come e perché ha luogo questa deriva che produce ingiustizia ulteriore in una società ingiusta. La commissione di indagine sull’esclusione sociale sta organizzando per la primavera una conferenza a Palermo su questo. Che tenga insieme studiosi e operatori sul campo. Intanto, avrà luogo il 9 e 10 febbraio, qui da noi, la riflessione del Cantiere Sociale Napoli a cui è importante partecipare.
Analizzare bene i fenomeni di degrado, frammentazione ed esclusione sociale che ci riguardano - attraverso il dibattito pubblico fondato su dati e analisi accorte - è un ingrediente essenziale della tenuta democratica. Sto personalmente lavorando a meglio definire la relazione diretta tra indici di povertà e tassi di dispersione scolastica. Zona per zona, nel Mezzogiorno e in Italia. C’è bisogno di conoscenze migliori per cercare di attivare migliori politiche di contrasto. E per criticare quelle che non funzionano. Intanto continua, imperterrito, lo spettacolo miserevole – Mastella, Cuffaro, la giostra caotica sulla legge elettorale – che è afono rispetto a questi temi.

E poi ci sono queste nostre parti… Mah, in questi giorni mi viene solo da dire grazie a Daniela che costruisce un selettore quotidiano, intelligente e non ideologico, degli elementi utili ad orientarsi tra i detriti fisici e politici di questa povera città, entro un quadro di enorme confusione, in cui trovare la strada - andando al di là della mera indignazione generale - è davvero difficile.
Il punto comunque è che la politica, qui ancor più che altrove, è talmente autocentrata che ormai minaccia, con cupa perseveranza, la tenuta stessa delle procedure e delle istituzioni democratiche. Perché ne avvilisce senso e funzioni, sempre più in palese, stridente contrasto con ogni cosa che tocca la vita vera dei cittadini. Insomma cresce una drammatica voragine tra la vita e la società da un lato e la politica dall'altro. Quando ciò accade è pericoloso. Più per i diritti e i cittadini che per i politici. Lo è sempre stato nella storia.
E’ perché sento, come tanti, il peso devastante di questa voragine che ho scomodato un’antica categoria: la riparazione. Tikkun in ebraico. E penso che dobbiamo certamente batterci contro i maggiori responsabili di questo stato di cose ma, intanto, fare, in positivo, la nostra parte. Perciò sostengo la proposta differenziamoci su cui si è ieri volantinato anche alla manifestazione di Legambiente. E’ un segnale piccolo eppure simbolicamente forte di riparazione civica, di tikkun, appunto, su cui impegnarsi.
Ma più in generale è tempo di discutere e contrastare i pericoli quotidiani, anche minuti, di sfilacciamento della coesione sociale e della speranza comunitaria. Che crescono in città. Tanto è vero che c’è depressione diffusa. Tanto è vero che sono in picchiata gli investimenti privati in tutti i settori economici. Tanto è vero che aumentano sempre più le conversazioni comuni che hanno per tema l’emigrare, l’andarsene di qui: tra gli adulti che hanno lavoro e ruoli sociali anche consolidati così come tra i giovani appena diplomati o laureati ma anche tra i ragazzi che non hanno né lavoro né qualifiche.
Perciò va fatta una riflessione anche sulla categoria della misura – nel senso di moderazione, temperanza – nell’uso degli spazi pubblici.
E, nel mio piccolo, su una nuova misura anche in questo blog. Sia chiaro: non sono turbato dagli insulti personali. La ricorrente insinuazione che io non lavori l’avevo già affrontata altre volte, anche in campagna elettorale, fornendo con calma informazioni su cosa ho fatto nella vita, cosa faccio, dove e con quale stipendio. E non mi hanno meravigliato né escludo che vi sia una regìa. Anche il commentare andando completamente fuori dai temi qui proposti o l’astio offensivo incrociato – modi peraltro assai diffusi nel web partenopeo - li avevo già notati come portati della penuria di spazi pubblici ed esercizio nel dibattere a Napoli. E però oggi lo sfilacciarsi della comunità, la ulteriore caduta di senso dei limiti e l’eclissi di procedure suggeriscono regole più chiare. Anche in un piccolo spazio come questo. L’elettricista ha dato un segnale. Che il titolare condivide. E se vi è stato qualche taglio eccessivo ripareremo. Ma al segnale seguirà a breve un nuovo format. Liberale ma con confini.

16 gennaio, 2008

Game over

Non ho voglia ora di commentare le vicende Mastella, Udeur. Che si sommano a una drammatica incapacità politica generale e al poco senso dello stato da tutti i lati. Pericoloso. Le vicende che disarticolano tutto e tutti vanno solo seguite, per ora. E per ciò che riguarda la roba giudiziaria – lo dico davvero – sono tutti innocenti fino a prova contraria. Anche se non ci sono mai piaciuti neanche un po’.
Ma in ogni caso, quali che siano le vicende che vedremo a breve con le inevitabili code, è davvero chiuso il ciclo politico campano che passerà sotto il nome di Antonio Bassolino. E rischia di morire Sansone con tutti i filistei.

E dovremo tutti di nuovo capire come esserci in questi nostri luoghi. In positivo. Difficilissimo. Ognuno ha, come è giusto, i suoi modi per stare nelle cose. Ma è quasi inevitabile che avremo tutti dei compiti – come cittadini dei luoghi, appunto. A cui vogliamo bene e per i quali lavoriamo con cura e dedizione da sempre. Ben al di là delle forme della politica. Che pure sono un tema.
Tikkun: questa è la parola ebraica per “riparazione”. Tikkun è la principale funzione di tutte le persone libere e responsabili. In questo mondo. E ce ne è da riparare! Nei prossimi anni. E’ questo che vale per tutti e per ciascuno. Come dopo le guerre o i terremoti. Raccogliere immediatamente e come si può la monnezza – che è diventato il simbolo e la sostanza del disastro epocale della nostra regione - e, insieme, agire, per produrre meno rifiuti, per promuovere raccolta differenziata; localizzare e gestire bene le discariche con l’accordo delle popolazioni e realizzare impianti moderni di smaltimento ai diversi livelli. Ma poi – e su tutti i temi della vita comune - ricreare i legami virtuosi tra decisori e competenze nella gestione dei territori e promuovere democrazia partecipativa insieme al rinnovamento della rappresentanza. Rinnovamento nelle persone e nelle generazioni, nel lessico, nel metodo, nelle priorità. E anche nei modi, nello stile.
Un’opera titanica.
Per questo lavoro lento, faticoso e ingrato quelli che fin qui hanno guidato la cosa pubblica da queste parti – anche i valvassini e i puledri scalcianti - non sono più candidabili.

14 gennaio, 2008

Differenziamoci

Sono passato dal consiglio comunale di oggi, per vedere. Ancora non so cosa si stia discutendo, ma fuori, tra persone che sono espressione di vari e diversi modi di vivere nella città, si parla di altro. Si parla di cosa si può fare subito e in concreto.
Sta girando l'idea di un'iniziativa pubblica per affrontare i problemi. Un'occasione per ripartire, un'occasione per differenziarsi.
Un’iniziativa rivolta ai napoletani pronti a fare la propria parte per uscire dalla eterna emergenza rifiuti.
Per spezzare il senso di impotenza.
Per avere voce e visibilità.

Vogliamo dire al mondo che a Napoli ci sono cittadini attivi, che chiedono solo di essere coinvolti nelle decisioni e che cominceranno, comunque, oggi, a fare la raccolta differenziata. E pretendono che le istituzioni ci permettano di farla bene garantendo che tutto ciò che viene differenziato sia smaltito correttamente.
Un modo di protestare proponendo, che mette in primo piano la responsabilità personale di ognuno e la disponibilità al dialogo.

Vogliamo togliere ogni alibi alle autorità, vogliamo politici e amministratori che fanno bene il loro mestiere, affrontano i problemi con passione civile e competenza, verificano i risultati di scelte e azioni di governo.
Un messaggio contro menefreghismo, violenza e indifferenza, che a modo loro contribuiscono a distruggere la città. Contro l’allergia napoletana alle regole del vivere civile.
Per ricostruire la vita democratica.
Vogliamo dire, con un gesto simbolico, che non sopportiamo più la monnezza, che è oggi lo specchio di quell’insieme indifferenziato di incapacità, affarismo, autoreferenzialità e fatalismo in cui sta affondando la città.

Domenica 27 gennaio, vieni di mattina in piazza del Plebiscito e porta la tua plastica. Basta anche una sola cosa…
 Faremo insieme la prima Montagna differenziata
. Ci scambieremo informazioni sul ciclo dei rifiuti, proposte, idee e testimonianze. Tra cittadini.

Tutti saranno ben accolti, tranne i facinorosi e quanti ricoprono incarichi istituzionali. Ai governanti - soprattutto in questo momento - non chiediamo dichiarazioni, ma di lavorare in silenzio, di provare (almeno ora) a onorare il loro ruolo.


Per conoscere i dettagli organizzativi e per aderire facciamo riferimento al sito curato da daniela.

11 gennaio, 2008

Una tempesta spira

Ci avviluppa un’aria terribile, da 8 settembre alla diossina. Il fallimento del centro-sinistra campano, dalla cui constatazione partì anche l’esperienza di Decidiamo insieme, forse prima del tempo, oggi vuole trascinare tutto con sé.
I governanti di centro-sinistra, dopo 14 anni, saranno ricordati solo per questo disastro. Sì, d’accordo, si devono chiedere anche le loro dimissioni. E molti di noi lo abbiamo già fatto, oltre un anno fa.
Ma il punto è che la loro fine già è. Semplicemente. E ci vogliono trascinare con loro. Ed è la fine di tutta quella politica, dei suoi termini, del suo metodo, dei suoi linguaggi. Tutta intera. Come dopo Weimar. E riguarda Napoli ma anche oltre. Dichiarare la morte evidente di una politica oltre che dei suoi protagonisti - a partire certamente da chi qui ha governato – è dunque un banale atto dovuto. Non basta. Non coglie più il punto. E c’è un bisogno – e anche una voglia, se non ancora una volontà – diffuse, crescenti, di reazione. E’ su questa che dobbiamo ora contare. Ma in modo nuovo.
E’ questo il punto: ripartire. Noi. Lontano da costoro al di là del loro destino, già segnato. Perché, altrimenti, il nuovo padrone sostituirà l’antico. Senza nulla cambiare. E verranno solo altri viceré, prima osannati e poi… Lo abbiamo già visto. Abbiamo già dato.
E mi viene in mente, come a ogni giro di boa di questa città, il noto passaggio di Walter Benjamin:
C'è un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo...
Penso che si possa lavorare a una reattività a partire dal disastro. C’è da seguire la “tempesta che spira”. Da accompagnarla. Sarà faticoso. Ma è possibile. Forme nuove, confronto. Ma subito proposte immediate e realizzabili. Oggi su decidiamoinsieme c’è una proposta che sta girando e che si chiama semplicemente: differenziamoci. E’ una cosa buona. E’ concreta. E ci si sta lavorando. Partiamo da questa.

06 gennaio, 2008

Diario dell’epifania


Sta finendo l’epifania, che ogni festa porta via. Sono passati undici anni dalla chiusura, dopo oltre quarantanni di uso selvaggio, della discarica di Contrada Pisani, allora annunciata come l’inizio di una nuova era da Antonio Bassolino…
La natura in questi undici anni aveva comunque fatto il suo corso e lentamente “assorbito” i rifiuti dei decenni passati trasformandone parte in gas parte in acque inquinate che da tempo hanno invaso le falde a valle. “Assorbito”: con gli anni il livello dei rifiuti è sceso di ben 14 metri. E – si dice ora – ha fatto nuovo spazio. Per allestire il quale si approntano adesso i soliti teloni di plastica che copriranno il terreno da cui pure l’acqua proveniente dagli antichi sversamenti da sotto continua ad uscire, complicando il piano delle operazioni. Ammesso che i camion passeranno avendo la polizia sgombrato tutte le vie di accesso. Comunque lì vi dovrà essere il puro e semplice svuotamento, come negli anni cinquanta o sessanta, dei camion di immondizia indifferenziata. Perché luoghi di differenziazione non ve ne sono. E neanche di raccolta pura e semplice. Tanto che oggi per strada ci sono 100.000 tonnellate di monnezza e se ne aggiungono 5.000 almeno al giorno.
Quarto – che confina con Pianura – stamattina era isolata da blocchi stradali mentre intorno alla discarica che si vuole riaprire continuano a singhiozzo gli scontri. Altri scontri scoppiano a Pozzuoli da ieri. E anche a S. Giorgio che aveva avuto una storia seria di differenziazione partecipata finita in un cul de sac grazie alle mancate politiche regionali.
Piove a dirotto e così si stanno spengendo i roghi alla diossina che erano un po’ ovunque. Ovunque ma in genere nelle periferie e nell’hinterland anche fuori del comune di Napoli, in particolare verso il casertano e nella zona vesuviana. Numeri di fuochi maggiori dove più alti sono i cumuli d’immondizia. Non è la protesta a fare attizzare i fuochi o la “colpevole irresponsabilità” – come ancora ieri l’ha chiamato il Signor Presidente. E’ l’ignoranza sospinta, però, da un’urgenza vera che non è eliminabile con i richiami illuministici. La gente non sopporta il tanfo. Se ci passi anche a venti metri ti sale il conato di vomito. E le case e spesso i negozi sono bloccati da queste montagne, a volte alte fino a tre metri. La gente vede i topi. Pensa alle malattie. E non registra che la diossina sprigionata nell’aria è peggio. Perciò soprattutto i giovani scendono di notte e appiccano il fuoco. Ora la pioggia fa abbassare le montagne di monnezza e fa scendere plastica e rifiuti leggeri nei tombini. Che si intasano e creano laghi maleodoranti che prendono tutta la strada. Le macchine passano e schizzano i passanti. Ma la diossina nell’aria diminuisce.
E la pioggia non ha impedito che stamattina si tenesse una messa all’aperto alquanto affollata e oggi un grosso corteo dei comitati civici del quartiere a Pianura dove le associazioni d’ispirazione parrocchiale, anche moderate, avevano già indetto il corteo di ieri pomeriggio che aveva visto circa 4000 partecipanti – molte donne, famiglie intere, persone di ogni età, ben vestite, serie - tutti convinti di non volere riaprire la discarica ma anche di distinguersi dagli artefici degli scontri di questi giorni che hanno visto sassaiole ben organizzate, la costruzione rapida di blocchi e barricate, il lancio di molotov. Gli artefici degli scontri, quasi solo giovani, in effetti, pare siano una specie di minestrone unito dalla rabbiosa alterità al sistema: qualche black block, giovani di alcuni centri sociali, gruppi estremi del tifo calcistico, qualche estremista di destra ma anche semplici giovani locali, infuriati. La camorra, secondo vari negozianti e cittadini partecipanti al corteo pacifico o alla messa di stamani, preme per la riapertura della discarica fino alle minacce. La chiesa – attraverso l’autorevole voce e l’insieme delle posture del cardinale Sepe - sembra voler assumere il compito di una presenza diretta e tale da occupare spazio pubblico di fronte all’eclissi della politica. Pare, insomma, voler dire che non è un partito ma che, di fronte a una crisi prolungata di credibilità del ceto politico e al pericolo reale di scollamento della comunità, la chiesa è una entità forte che deve comunque fare da sponda e marcare la presenza dalla parte dei cittadini. Non è solidarnosc ma non è neanche la predica solita al chiuso della messa domenicale. E, francamente mi pare una presenza almeno utile in questo marasma.
E’ l’Epifania. I giri per i regali sono finiti. In città c’è un senso di ritiro e di vergogna o pena collettive che aumenta con la lettura delle prime pagine dei giornali nazionali e dei tg che ci trattano come un fenomeno etnico, terribile ma irrimediabile. La figura conta. E questa è la peggiore da molti decenni. Anche perché si ripete a distanza di un anno. La gente sta a casa. La depressione negli ultimi mesi si è nutrita di ogni possibile fallimento collettivo. Tra tanti cittadini impegnati tutto è parso confermare un trend negativo, che uccide le speranze della città: i dati sulla povertà, i continui scandali tra gli amministratori, il carattere perenne delle guerre di camorra, l’aumento dei fatturati da ecomafie fino alla cifra record di 45 miliardi di euro, la continua incomprensibile litigiosità tra politici fino alla pessima gestione delle locali primarie del Pd con i brogli e le risse a più non posso. Ci sono le foto di prima pagina dei giornali internazionali e nazionali, le telefonate degli amici lontani dall’Italia che chiedono. Cose che fanno male. E poi sullo sfondo – come all’orizzonte dell’immondizia che brucia per le strade – ben oltre l’emergenza immedaita di ora, ci sono, nelle discariche già chiuse, in giro, quindicimila ecoballe che eco non sono. Che cosa se ne farà? Quando? Come? E ancora: le decine di siti segreti con i rifiuti tossici. Il cancro che aumenta. Vale la pena crescere qui i figli?
Ora ci sono queste centomila tonnellate di rifiuti in giro. Avevo già l’anno scorso chiesto le dimissioni dei responsabili. E penso ancora che se non se ne vanno non vi sarà alcuna credibilità delle istituzioni preposte a toglierci da questo disastro. C’è bisogno infatti di partecipazione. E dunque di un minimo di dialogo e di fiducia. Con costoro mi pare improbabile. Un elemento che va oltre la politica rende difficile dare credito effettivo a chi qui governa.
Ma intanto, devono essere tolte queste tonnellate di roba da in mezzo alle strade. Intanto. E questa è una questione prioritaria. E bisogno fare i conti con i passi pratici, concreti, per togliersi da questa situazione. E allora le dimissioni o meno diventano quasi secondarie o restano sullo sfondo. Ci voglioni i gesti. Quelli dovuti. Il Consiglio comunale va o no subito convocato? Perché non si è fatto ancora? Si può andare a parlare davvero a Pianura con i cittadini, come amministrazione o lo si lascia ai preti e ai poliziotti o lo si deve solo annunciare? Se si deve proprio riaprire pianura lo si può fare a termine e a termine breve? Ma c’è anche qualche altra opzione, vera? Si possono aggiungere altri siti e quali? Si può chiedere umilmente aiuto al resto d’Italia? Può essere tutta questa una riflessione civile e alla luce del sole o tutto, come per Pianura, deve essere deciso nelle segrete stanze? Possono essere trovati a breve sette o otto luoghi per trattare la parte trattabile della monnezza napoletana, diminuirne volume e in un tempo utile? Si può chiedere una cosa straordinaria, come quando c’è un terremoto, al governo affinché tutto ciò sia facilitato con fondi e procedure in grado di aggredire l’emergenza? Si può partire da una prima seria raccolta differenziata come avviene da tempo in alcuni comuni campani e concentrarsi sull’organico e creare in tempoi record anche degli impianti di compostaggio? Ci vuole un moto in tal senso. E forse le manifestazioni pacifiche a Pianura di questa notte aiutano. Ma è tutto molto complicato.

L'illustrazione viene da qui ed è il retro di questi auguri.

05 gennaio, 2008

Quando il Palazzo si chiude in sé stesso

Questa ennesima onda di crisi che riporta il nostro normale quotidiano nelle cronache nazionali è un disastro triste; un lutto comune; una vergogna di cui ci si vergogna; che si ripete. E la nostra parte di responsabilità va trovata; e va raccontata quella, ben più pesante, di chi è stato padrone delle decisioni fatte. Come dirlo? Ci ho provato a scriverne, a fatica su Repubblica Napoli e lo riporto qui. Nel frattempo su Decidiamo Insieme, Daniela raccoglie notizie e commenti nel modo più accurato e utile.

Si è riaperta la discarica di Pianura. È uno di quegli atti che, nella cronaca, hanno sempre una qualche ragion d´essere. Lo storico attento la esaminerà e saprà ricondurla a più grandi ragioni. Ma oggi questo atto ha un peso simbolico enorme, immediato. E irrimediabile. Gli abitanti di Pianura - in queste ore di riapertura del sito di Contrada Pisani, chiuso il 5 gennaio 1996, con la solenne promessa di una stagione di lotta senza quartiere alla camorra dei rifiuti, di riqualificazione e di vero sviluppo - sono stati lasciati soli dinanzi alla decisione della riapertura.
Lasciati soli senza cenno di dialogo e di ascolto da parte di chi la decisione l´ha presa. Senza parola.
L´atto della riapertura, già molto pesante simbolicamente - perché nega il senso di un´intera stagione di speranza politica e la capovolge in modo definitivo, in quello stesso luogo in cui era stata peraltro promessa la realizzazione di un campo da golf - è stato dunque lasciato a sé. E questo lo farà pesare ancor più.
È molto duro dover dire ai propri figli che la discarica era stata chiusa e che i terreni attigui erano stati pure bonificati per il comune bene e che ci si era creduto ma che lì, proprio lì, al posto della bonifica domani o dopodomani e comunque prima del 6 gennaio 2008, passati tredici anni, tornerà la monnezza.
Le mamme che tirano i figli alla testa del corteo di protesta sono il simbolo di questo dramma. Perché la disattesa della promessa non è solo onta della politica. È anche dolore comune, di tutti noi. È una nostra sconfitta collettiva. È la solitudine estrema di chi subisce più da vicino le scelte senza che siano accompagnate da parole e da presenza la amplifica.
Un giorno i nostri figli dovranno spiegare ai loro figli questi nostri anni. Con lo sviluppo fermo per lustri interi. I poveri che aumentano insieme all´antico divario tra la città di chi è escluso e quella di chi ce la fa comunque, sia pure senza speranza né vero progetto di futuro; e i giovani, ricchi e poveri, che vanno via, si trasferiscono altrove, in cerca di una esistenza migliore, di effettive possibilità di realizzazione personale e collettiva.
Tanto che è probabile che il racconto avverrà in un´altra città, lontana da qui. E forse quei bimbi di Pianura faranno ai loro figli il racconto a Reggio Emilia o a Roma o a Torino o in qualsiasi altra città italiana. E ricorderanno del corteo di ieri. E diranno di una lunga stagione di cupa depressione civile. Sì, depressione civile. Perché la politica - che è lo strumento adibito a promuovere la partecipazione civile alla cosa pubblica ed ad affrontare le crisi con senso di possibilità e di speranza ma anche, semplicemente, con il doveroso esercizio della presenza - si è avviluppata su stessa. Fino ad evitare la presenza davanti ai cittadini non solo durante la comunicazione di una sconfitta come è nel caso della riapertura di Pianura, ma anche durante i rituali appuntamenti di piazza a Capodanno, con le massime istituzioni locali assenti al Plebiscito.
E perché, ben prima e per anni, la politica ha voluto evitare di misurarsi con le difficoltà dell´impresa annunciata, lasciandone la responsabilità a una catena decisionale che rispondesse innanzitutto alle logiche di fedeltà ai circuiti stessi della politica. Perché la politica ha evitato di far vivere insieme processi decisionali e anelito di cambiamento e di autonoma iniziativa di cittadinanza, scegliendo - invece - di costruire consenso intorno a interessi e conservazioni. Con la conseguenza di ridurre le aspirazioni nate nel nome dell´interesse generale a un´entità velleitaria e dunque da deridere o a un pericolo per gli equilibri raggiunti volta per volta o a un fenomeno da ammaestrare e ricondurre all´ambito separato della politica stessa, al lessico e alle logiche suoi propri, sempre meno comprensibili e compresi.
Depressione civile perché si ritorna indietro. E così la signora di Pianura non evoca la sua guarigione ma ricorda che è stata malata di cancro e l´altra dice che non mangia più mozzarella perché “le terre intere sono inquinate”. E perché si è tradita la promessa del 1997 tanto che il malaffare prospera. Il calcolo di un giro di affari di circa 45 miliardi di euro da ecomafie in Campania ci fa sentire, insieme alla puzza delle discariche, un olezzo di denaro cattivo che va in cattive mani.
Si è chiusa una stagione. E se ne apre una nuova. E come avviene sempre in politica - quella vera - la prima richiesta che sale è quella di interlocuzione, di poter dire, proporre, parlare, comunicare. Non sarà più possibile evitare di dialogare con i cittadini. Sarà sempre meno consentito chiudersi a parlare nei “palazzi” - come li chiamava Pasolini. Qualcuno da quella madre in testa al corteo dovrà e saprà andarci. E la partita che si apre non è tra correnti di partito o sotto gruppi delle stesse. Ma tra chi meglio saprà stare lì. Fare proposte, risolvere problemi. Proporre misure condivise per differenziare la monnezza, trattarla in modo differenziato, condurre processi di trasformazione. Per fare i conti con i nostri rifiuti. Come si è fatto in tutte le città del mondo. Con costanza, serietà. Con il rischio della presenza.
Ma questo è quello che sarà. Se noi ci mettiamo, tutti, il nostro impegno. Un´opera davvero complessa. Molto incerta. Che si fa persino fatica a immaginare ora.
Intanto c´è la certezza che per i nostri figli e i nostri nipoti dovranno esserci i racconti, irrimediabilmente legati ai nomi di chi qui ha governato, al di là della buona o della cattiva loro fede. L´icona, il simbolo di questi racconti saranno queste montagne di monnezza che bruciano o che stazionano anni nelle ecoballe, il fumo tossico che sale, il ragazzo o la vecchia che passa accanto tappandosi naso e bocca. E il corteo di Pianura.