27 giugno, 2009

Lamento

Vorrei scrivere della "nuova" (sic!) lobby della casta bassoliniana, Sudd. Vorrei e non vorrei. Perché mi pare un incubo. Immaginate che bello: un partito unico del voto di scambio, la promessa di eterna cattiva spesa pubblica in cambio di voti - destra, centro, sinistra, amici, nemici purché si resti lì usando il denaro dei contribuenti per fare poco e soprattutto male. La proposta, poi, di farlo tutti assieme: Calabria, Sicilia, Campania, Puglia... Il regno delle due Sicilie rinato in salsa alle vongole. Magari con la benedizione di Berlusconi e sotto il solito vessillo di Impregilo. Una sorta di compromesso storico per decretare definitivamente la spaccatura dell'Italia: a Nord produttori selvaggi, a Sud consumatori di elemosina o di opere faraoniche poco importa, saltati in padella da piccoli Mubarak locali.
E vorrei mostrare ciò con due colonne: sulla sinistra il gettito di spesa pubblica dai tempi di Gava a oggi e sulla destra le relative "realizzazioni...." Se avessi i soldi ne farei un manifesto anonimo, tre per quattro o sei per otto: queste due colonne con le cifre e i fatti, inoppugnabili; e poi sotto, scritto a grandi caratteri: Sudd? No grazie. Sulla sfondo metterei Piazza Plebiscito, vuota, linda e pinta più che mai, spettrale, come da sempre piace a costoro.
Altre volte, più umilmente, mi verrebbe da riunire in un solo articolo alcuni passaggi squisiti scritti un secolo fa da Giustino Fortunato dove già era ben delineata la propensione della Politica Meridionale a delapidare le casse comuni per perpetuare null'altro che se stessa.
Ma confesso la fatica e lo sconforto che questi tristi proponimenti dettati dall'indignazione mi procurano. Così - in improbabile attesa di trovare le forze per mostrare il cattivo Sudd e dire altro e magari pure "in positivo" - ho fatto i soliti giri in giro. E ho visto che altrove, però, sanno lamentarsi meglio di me, di noi. Sentitevi questa cosa lamentosa milanese, ché è bellissima e che è un'idea che gira per il mondo a pertire da qui.
Quando l'ho sentita, ho ripensato al nostro manifesto di d. i., con le nostre facce. E a Napoli - città piena di musicisti e di piccoli moti diffusi di gente per bene che, però, non conta niente a causa dell'indecenza della politica. E mi sono chiesto se, forse, per una volta, noi potremmo prendere esempio da Milano. Ecco, una roba del genere: quanto mi piacerebbe che si facesse, che fossimo capaci di farlo e quanto mi divertirebbe...

22 giugno, 2009

Brevissimo

L'Iran resta drammaticamente al centro dei pensieri e coinvolge chiunque nel mondo voglia dedicarsi al tema del partecipare alle cose comuni, del "potere essere parte di", del decidere ed esprimersi.
Per quanto riguarda il seguito del mio articolo di otto giorni fa sulle ben minori cose politiche napoletane a partire dalla netta sconfitta del PD, segnalo per ora questo cortese invito di Daniela su DI e mi riprometto di tornarci con calma.

17 giugno, 2009

Molto, molto più importante

Quello che avviene in Iran è un milione di volte più importante delle nostre stantie vicende.
I costi delle giornate iraniane sono elevatissimi, terribili. Dobbiamo manifestare, firmare appelli, fare ogni piccola cosa possibile.
Così oggi pubblico queste cose, che ho ricevuto da un’amica iraniana, M.:
tra le molte foto in giro questa immagine, adottata come simbolo di questi giorni, un suo straziante appello di oggi, un bellissimo e diretto resoconto, inviato ieri, della grande manifestazione del pomeriggio di lunedì 15 giugno a Teheran dopo che si è avuta la certezza di un vero e proprio golpe elettorale, con brogli enormi e un elenco degli slogan:

Appello del 17 giugno
Grazie, grazie. Stiamo troppo male, siamo soli senza appoggio, tanti amici feriti, alcuni uccisi e tanti arrestati; ma da dove vengono questi assassini senza patria?!!!! Loro sono i nostri connazionali che ci ammazzano in questo modo?!!
Io sono disperata, ogni giorno che mi sveglio mi sembra l'ultimo giorno della mia vita, non sappiamo se rimarremo vivi o no!
Abbiamo bisogno di aiuti fortissimi, il popolo e' veramente solo! Nemmeno i giornalisti stranieri possono entrare in Iran, quelli che c'erano non ci sono più.
La manifestazione di oggi sarà una manifestazione sanguinosa.
Non so piu' che dire…

Resoconto del 15 giugno
Ci siamo avvicinati con apprensione a Via Enghelab o via Rivoluzione oggi alle quattro del pomeriggio.
Quante persone ci sarebbero state? Quanti corpi paramilitari e polizia e agenti speciali dei servizi? Ci sarebbe stato un bagno di sangue? Saremmo mai potuti scappare abbastanza veloci da non essere massacrati di botte?
Per e-mail e anche di voce in voce avevamo saputo della convocazione della manifestazione da parte dei sostenitori di Moussavi – sapevamo che dovevamo esserci. Poi, però, erano giunti messaggi contraddittori: la manifestazione era stata disdetta perché non aveva avuto l’autorizzazione o perché Moussavi temeva un bagno di sangue e così via…. Ma come aveva detto il mio amico N., il suono delle parole di Ahmadinejad che ci paragonavano a polvere e segature durante il suo discorso della cosiddetta “vittoria” non riuscivano ad abbandonare le nostre orecchie… Così siamo andati avanti nonostante i nostri timori. Eravamo stati di nuovo oltraggiati dalle parole e dalle azioni di Ahmadinejad. E non vi è alcun dubbio che i nostri voti siano stati rubati. Una menzogna, dunque. Ma quanto grande? E quante altre grandi menzogne?
Nessuno di noi si aspettava la rivolta più grande dai giorni della rivoluzione islamica. Molti tra noi non avevamo neanche votato alle passate elezioni e in tanti avevamo giurato di non votare mai più finché ci fosse la Repubblica Islamica. Ma poi in qualche modo, lentamente e tenacemente, ci siamo persuasi e abbiamo persuaso tanti altri che vi era una differenza tra “male e “peggio”. Anche in un sistema nel quale gli elettori possono solo scegliere entro candidati pre-selezionati chi non riusciva a vedere che comunque vi era una differenza tra Khatami e Ahmadinejad?
Così siamo entrati nella Via della Rivoluzione prendendo la direzione di Piazza Azadi o piazza della Libertà. E siamo presto stati investiti da un felice senso di sicurezza che solo una folla molto ma molto ma molto grande può dare. Vi era la polizia e la polizia anti-sommossa ma non hanno fatto nulla…. Fino a quando non eravamo, poi, tutti o quasi andati via. Dopo abbiamo saputo che solo allora i paramilitari avevano sparato su persone inermi e ucciso sette cittadini.
Questo Paese non sarà mai più lo stesso.
Lo stesso Consiglio delle guardie della rivoluzione ha alla fine dovuto per ora riconoscere che bisognava verificare il risultato delle elezioni, verificare se ci fossero brogli e ricontare i voti, dando un response entro dieci giorni. Dobbiamo tenere su il movimento per i prossimi dieci giorni. Stamattina – 16 giugno – ci è parso incredibile, quasi impossibile che il Consiglio potesse andare contro l’opinione di Khamenei e chiamare l’elezione un imbroglio. Ma dopo quella manifestazione appare altrettanto impossibile che essi potessero dire che l’elezione era regolare.
Perciò, per i prossimi dieci giorni noi abbiamo davvero bisogno del vostro sostegno affinché l’Iran resti sulle prime pagine, affinché si creda che le nostre elezioni ci sono state rubate.
Per questo ora ti saluto con alcuni degli slogan che ieri oltre un milione di persone hanno cantato nelle vie di Teheran e che suonano tanto bene in questa bella lingua… Le persone si stanno facendo molto creative con gli slogan e li inventano nello svolgersi della manifestazione. La lingua Farsi si presta bene allo shoaar-sazi, al modulare suoni e ritmi, grazie alla flessibilità che possiede e alla naturale vicinanza a ritmo e metro, come ci insegna tutta la nostra poesia… Ma ecco gli slogan:
Naft o Tala ro bordand, sibzamini avordand
C’hanno tolto petrolio e oro, ci danno in cambio patate (si riferisce ai “doni” di patate date in campagna elettorale da Ahmadinejad)

Doctor boro doctor
Doctor vai dal doctor (si riferisce alla fissazione di Ahmadinejad di farsi chiamare col titolo di dottore)

Atal matal toutouleh, dictatore koutouleh
“Atal aetal toutouleh” tu corto dittatore (Qui viene cantata sulle note di una canzoncina per bambini)

Ahmadi bye bye, Ahmadi bye bye!

Agar taghalob besheh, Iran ghiyaamat misheh
Se vi è imbroglio vi sarà rivolta in Iran

Hemayat Hemayat Iranie ba gheirat
Date aiuto, date aiuto, siate fieri iraniani

Natarsid, natarsid, ma ba hamim natarsid!
Niente paura niente paura, stiamo tutti uniti

Marg bar in dolate mardom farib
Morte al governo morente

Allah o Akbar

Moussavi Moussvi hemayatat mikonim
Moussavi Moussavi, siamo noi a proteggerti

Dorooghgoo, shast o seh darsadet koo?
Menzogne, menzogne, dov’è il tuo 63 percento

Dolat-e Kudeta, Estafaa Estafaa
Dimissioni, dimissioni del governo del colpo di stato

Khas o khaashaak toyi, doshman-e in khaak toyi Khas o khashak khodeti,
Khas of Khashaaksei solo tu , il nemico di questa terra sei tu (Qui ci si riferisce al discorso di Ahmadinejad in cui egli aveva definito i manifestanti "khas of khashak", che vuol dire “polvere e segatura”)

Ey Mahmoud-e bichaareh, baaz ham begoo footballeh
Povero Mahmoud, dillo di nuovo che è solo una partita di pallone (qui ci si riferisce sempre al discorso di Ahmadinejad nel corso del quale egli aveva paragonato i cortei a proteste dopo la sconfitta della squadra del cuore)

Raayeh maaro dozdideh, baa raayeh maa poz mideh
Hanno scippato i nostri voti e ora li usano per vantarsene

Hatta agar bemiram, raayam ra pass migiram
Anche se muoio il mio voto lo ri-otterrò

Moussavi, Moussavi, Raaye ma ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro il voto!


Moussavi, Moussavi, Parchamam ra pass begir!
Moussavi, Moussavi, fammi riavere indietro la mia bandiera (Ci si riferisce al fatto che la bandiera iraniana è stata usata come simbolo elettorale da Ahmadinejad)

Mijangam, mijangam, Raayam ro pass migiram!
Lotterò, lotterò, riavrò indietro il mio voto

Azadie andishe poshte shisheh nemisheh
La libertà non si conquista spiando da dietro alle finestre (ci si riferisce a chi guarda passare i cortei da dietro le finestre di casa)

Mikosham, Mikosham, har ke baradarm kosht!
Ucciderò, ucciderò, ucciderò chi uccide il mio fratello (Questo slogan è stato gridato dopo che sono stati uccisi 7 manifestanti)

15 giugno, 2009

Ri-perdere le elezioni

Ieri Repubblica-Napoli ha pubblicato questo mio fondo. Lo metto anche qui, per chi napoletano non è.

ll centro-sinistra ha di nuovo perso le elezioni. Di nuovo.
Infatti nelle elezioni politiche del 2008 il “laboratorio campano” di centro-sinistra - al quale Bassolino ha legato il suo nome - aveva già perso mezzo milione di voti, oltre il 12 percento. E nella città di Napoli la grande coalizione che ci governava aveva perduto 93.057 voti, passando dal 56,7% al 43,9% in un solo anno.
Già un anno fa, dunque, gli elettori o non votarono o votarono contro chi qui governava. Perché era finito un ciclo - come tutti dissero. Perché in aggiunta al vento di destra nazionale vi fu una reazione, alla prima utile occasione di voto, a più cose: alla mancata riconversione dello sviluppo locale dopo gli anni della dismissione delle industrie, alla persistenza della disoccupazione, al dilagare della camorra, alla palese distanza tra scopi dichiarati e uso della spesa pubblica, alla cattiva gestione degli enti locali. A lungo le disaffezioni elettorali sono restate in gestazione, in risposta a una crisi complessa della società, dell’economia e del modello di governo. Infine, è stata la crisi dei rifiuti che ha sgretolato il mito del buon governo del laboratorio campano ed ha dato vita alla caduta verticale dei consensi.
Allora il nostro governatore minimizzò la sconfitta e annunciò una “riflessione”. Ma si guardò bene dal farla. Egli – insieme a quasi tutto il ceto politico del quale è espressione - preferì affidarsi al tempo che passava; e all’idea che comunque chi controlla i rubinetti della spesa pubblica, ieri come oggi, può mantenere i voti.
Analizzare la crisi di consensi? Discutere delle diverse difficoltà che ogni governo locale incontra nel Mezzogiorno? Misurarsi con le effettive mancanze culturali o programmatiche della “classe politica e della classe dirigente più generalmente intesa” – come le chiamava Guido Dorso? No. Chi rifletteva fu avversato, chi analizzava indicato come illuso o tacciato di tradimento. Perché indeboliva il fronte comune quando i “barbari” del centro-destra erano alle porte. E non fu solo Bassolino. La verità è che la grande maggioranza di questo ceto politico di centro-sinistra – il capo, i capetti e i gregari - in fondo non conosce gli strumenti di analisi e intervento propri della complessità e, in più, non crede che governare c’entra con i fatti della vita quotidiana, per i quali le persone stanno peggio o meglio, possono sperare o non sperare, spendersi o non spendersi. Per loro “a’ politica è n’ata cosa”. E’ un ceto politico pervicacemente anti-obamiano. Che, perciò, non nutre più alcuna curiosità né rapporto con le ansie, i sentimenti, le emergenze vive delle persone. Con chi va a insegnare in una scuola di formazione professionale i cui macchinari sono quelli degli anni settanta e dove i ragazzi si assentano sempre più. Con chi apre la saracinesca di un negozio che vende sempre meno. Con quel trenta percento di cittadini che vivono con meno di mille euro al mese in una famiglia di quattro persone. Con chi sta in ansia la sera per il figlio che è andato a mangiare una pizza in un centro-città solcato da bande di ragazzini imbottiti di coca e armati di mazze di ferro, coltelli o anche pistole. Con chi ha già accompagnato figli e nipoti a vivere altrove. Con chi ogni volta guarda mestamente al luogo del giardino pubblico promesso e constata che il cantiere è fermo da anni.
Invece prevale da tempo l’idea che le persone non sono gli interlocutori indispensabili al farsi della politica ma sono categorie che corrispondono o a voci di spesa pubblica o a destinatari di messaggi elettorali. Perciò il centro sinistra perde. Perciò Napoli ha l’astensione al 48 percento. Perciò il PD - che dallo studio di Gad Lerner, Antonio Bassolino proclamava di “volere mettere in sicurezza” – è sceso, invece, al 27, 3 percento alle europee e al 24,5 alle provinciali. Contro il 35 delle politiche del 2008. E i cosidetti “barbari” sono entrati dalla porta principale.
Ora, dopo l’ennesima sconfitta, l’elettore di centro-sinistra deve sentirsi dire che non è detta l’ultima: “na cosa a vota”? Oppure che è colpa dell’imperizia del candidato alle provinciali? O che c’è stata la minore sconfitta – si fa per dire - alle europee grazie alla valanga di preferenze ottenute da quei suoi esponenti che hanno più direttamente gestito la spesa pubblica?
Non sarebbe meglio ascoltare le semplici parole “ce la siamo meritata”. Per poi poter finalmente affrontare la crisi e avviare una trasformazione radicale, senza la quale non ci sarà più un credibile centro-sinistra in Campania.

08 giugno, 2009

Brutte notizie dalla vecchia Europa

Alcuni di noi hanno sempre pensato che la vicenda europea è cosa assai seria. Noi – e io – non siamo mai stati tra gli euroscettici di sinistra, mai.
La riprova di questa nostra affezione alla difficile scommessa europea sta nel senso di angoscia vero, profondo che stamattina sentiamo per i risultati delle elezioni per il parlamento della Unione.
L’Europa si astiene. Molto meno della metà dei suoi cittadini non va a votare per una prospettiva comune. Certo, protesta contro i buriocrati di Bruxelles, una casta a se stante. Certo, segnala che la Unione non ha un esecutivo né un esercito né una politica estera, ecc. Ma va oggi riconosciuto che - di fronte ai suoi compiti e alla responsabilità dovuta alle sue costruzioni costituzionali basate sulla cultura dei diritti, alla sua forza economica e al posto che ha avuto nella storia e che ancora ha – la grande maggioranza degli europei si è ritratta, lasciando il campo al protagonismo di altri.
L’Europa si astiene lasciando spazio alla Cina del capitale finanziario centralizzato come in nessun altro luogo e dello sfruttamento feroce, del totalitarismo abietto e dell’accaparramento planetario delle risorse; dando più forza alla Russia putiniana che è ancora fuori dalla cultura liberale e dei diritti, anche essa forte nel perpetuare, ad un tempo, un liberismo selvaggio e un decisionismo privo di controlli.
L’Europa si astiene lasciando lontana da sé la difficile scommessa della democrazia indiana che prova ad andare avanti sulla via del tenere insieme le grandi diversità interne. E soprattutto lasciando soli gli Stati Uniti di Obama. Più soli nel mostrare le vie difficili – quasi temerarie – della speranza alle giovani gererazioni, nella possibilità di tessere comprensione vera tra diversi, nella via per riprendere un’altra idea di sviluppo, nella proposta di intehrare stato e concorrenza nella risposta alla crisi. E più sola nell’indicare un mondo ragionevole e possibile per tutti. Da questo punto di vista lo straordinario discorso di Obama al Cairo stride davvero con i risultati delle elezioni europee.
Così l’Europa si avviluppa sulla sua parte meno capace di dire e proporre. Perché si chiude in difesa. Perché non riconosce le origini della presente crisi. Perché non si confronta con il mondo e con le sue grandi questioni… Infatti ovunque vince o aumenta la destra conservatrice – quella che negli ultimi quindici anni almeno ha sostenuto il delirio liberista e la moltiplicazione del denaro attraverso denaro fittizio – un modello che ci ha portato dentro questa crisi. E’ paradossale eppure vero: è come se il partito di Bush vincesse in Europa, nonostante la crisi – o, anzi, proprio in virtù della crisi.
Perché accade ciò, a differenza che negli stati Uniti? Ci dobbiamo finalmente domandare in modo radicale – oggi – se e quanto pesano, in questo, i ruderi ideologici di una sinistra conservatrice, incapace di proposta, culturalmente autoreferenziale, inetta anche a pensare agli individui, alle loro libertà e, al contempo alla responsabilità collettiva; e sovranamente incapace di ricambio nel suo personale politico e nel suo metodo, nei suoi linguaggi e nei suoi contenuti… incapace di aprirsi e di ricercare e mettersi in gioco. In controtendenza il grande e piccolo successo di Cohen-Bendit in Francia - che aveva rotto da tempo con i brontosauri della sinistra (a differenza dei verdi italici) - forse ci dice qualcosa su questo tema.
L’Europa si ripara nei suoi mille provincialismi. Lo fa anche l’Italia sostenendo la Lega ma non solo: la nostra politica – tutta - ha fatto di queste elezioni una vicenda del nostro angusto cortile. Dentro il quale - si dica quel che si vuole – continua a regnare un bulletto di quarto ordine, sostanzialmente incontrastato.
L’Europa dei cittadini è più debole stamattina. Essa si chiude intorno a antiche difese di privilegi e pregiudizi. E a piccole o ignobili vicende nazionali e locali. E’ senza respiro, non mostra orizzonte.
Questo è un male enorme per i nostri figli.
E di più: l’Europa mostra anche una terribile tendenza a ricadere nelle ombre orribili del secolo scorso. Infatti i partiti euroscettici e i bagliori apertamente razzisti e anche fascisti hanno ottenuto forti consensi ovunque, dalla civilissima Londra a Milano a Vienna a Bratislava a Praga. E a Budapest. Penso in particolare a quel 16 percento di ungheresi che sostengono con il voto la recrudescenza antisemita e antizigana della destra estrema ungherese; nell’Ungheria che fu il territorio delle terribili armate dell’ammiraglio Horty che, durante la guerra, aiutarono i nazisti a portare allo sterminio 700.000 ebrei e 200.000 zingari magiari. E’ la storia triste di una parte della mia famiglia e dunque mi colpisce ancor di più. E poi: il risultato di Budapest non è qualcosa di alieno a noi… parla lo stesso straziante linguaggio, si nutre del medesimo humus che hanno fatto morire in quel modo il povero Petru nel centro della nostra città , che hanno permesso l’assalto ai campi Rom di un anno fa, che hanno fatto cacciare una donna africana da vicino al suo bambino appena nato…
E’ così: le grandi assunzioni di responsabilità di fronte alle sfide vere del nostro tempo – cittadinanza, sviluppo, ecologia - sono più lontane e alcuni mostri stanno ritornando. E l’America solitaria di Obama appare davvero troppo simile a quella di Roosvelt degli anni trenta.
Proviamo, almeno noi nel nostro piccolo, ad aprire un dibattito su queste cose. E evitiamo di avvilupparci a nostra volta solo sulle vicende della nostra povera provincia… che tra tutte è quella e sarà quella ancor più lontana da ogni prospettiva di sviluppo basato sulla difesa dei diritti di tutti e ciascuno…
Proviamo ad aprire un dibattito più largo almeno noi. Perché se non parliamo della crisi dell’Europa non abbiamo prospettiva alcuna neanche per le vicende nostre.

L'immagine mostra la concentrazione troposferica del biossido di azoto, proxy di inquinamento.

03 giugno, 2009

Non è tutto la stessa cosa

Sono più affezionato alle cose che si muovono in città tra le persone, per esempio la manifestazione di domani 4 giugno, (riunione oggi al Damm) in risposta alla pazzesca sparatoria di Montesanto e alla uccisione di Petru Birladeanu, ma qui mi tocca occuparsi di politica tra virgolette.

Le elezioni in questa città da tempo immemorabile si svolgono anche all’ombra dell’offerta (e, dunque, anche della domanda) di servigi atti a conquistare voti da parte di portatori di pacchetti dei medesimi come ancora una volta ha ieri denunciato Norberto Gallo.
Le democrazie sono creature imperfette. E Napoli è stato un laboratorio per lo studio di tali imperfezioni, fino a ispirare dei classici in materia.
E’ difficile dover constatare quanto sta messa male la politica in Italia e a Napoli e al contempo pensare che è bene provarci e riprovarci a migliorare la politica. Confesso che spesso penso che non ci sia molto da fare. Eppure davvero non mi sono molto congeniali quelli che dicono che fa tutto shifo comunque. Per esempio mi ha infastidito l’ultima sortita dell’assessore Velardi che, dalla sua posizione nella giunta Bassolino, invoca una politica “più interessante e più coinvolgente” un po’ contro tutto e tutti, posti su un unico piano.
Sì, la politica sta proprio messa malissimo in questo Paese. Ma non è vero che tutto sta sullo stesso piano. E mi ostino a pensare che – nel mondo imperfetto – le prime cose “interessanti e coinvolgenti” sono i piccoli segni di democrazia “meno imperfetta” che si muovono in una città come la nostra, in un Paese come l’Italia.
Insomma, proprio perché è una campagna elettorale brutta e deprimente, forse assume maggiore importanza la denuncia di Norberto. E forse acquista più valore il fatto che Gino Nicolais parla senza demagogia dello stato della provincia o del programma realistico che sta portando in giro – come ha fatto lunedì nell’incontro ad Ercolano a cui ho partecipato – davanti a un pubblico non fatto di ceto politico ma di insegnanti e giovani. E forse c’è da dare credito a Tommaso Sodano per una campagna elettorale pulita e di merito.

La foto è di delpax, il riferimento a Kandinsky.