08 giugno, 2009

Brutte notizie dalla vecchia Europa

Alcuni di noi hanno sempre pensato che la vicenda europea è cosa assai seria. Noi – e io – non siamo mai stati tra gli euroscettici di sinistra, mai.
La riprova di questa nostra affezione alla difficile scommessa europea sta nel senso di angoscia vero, profondo che stamattina sentiamo per i risultati delle elezioni per il parlamento della Unione.
L’Europa si astiene. Molto meno della metà dei suoi cittadini non va a votare per una prospettiva comune. Certo, protesta contro i buriocrati di Bruxelles, una casta a se stante. Certo, segnala che la Unione non ha un esecutivo né un esercito né una politica estera, ecc. Ma va oggi riconosciuto che - di fronte ai suoi compiti e alla responsabilità dovuta alle sue costruzioni costituzionali basate sulla cultura dei diritti, alla sua forza economica e al posto che ha avuto nella storia e che ancora ha – la grande maggioranza degli europei si è ritratta, lasciando il campo al protagonismo di altri.
L’Europa si astiene lasciando spazio alla Cina del capitale finanziario centralizzato come in nessun altro luogo e dello sfruttamento feroce, del totalitarismo abietto e dell’accaparramento planetario delle risorse; dando più forza alla Russia putiniana che è ancora fuori dalla cultura liberale e dei diritti, anche essa forte nel perpetuare, ad un tempo, un liberismo selvaggio e un decisionismo privo di controlli.
L’Europa si astiene lasciando lontana da sé la difficile scommessa della democrazia indiana che prova ad andare avanti sulla via del tenere insieme le grandi diversità interne. E soprattutto lasciando soli gli Stati Uniti di Obama. Più soli nel mostrare le vie difficili – quasi temerarie – della speranza alle giovani gererazioni, nella possibilità di tessere comprensione vera tra diversi, nella via per riprendere un’altra idea di sviluppo, nella proposta di intehrare stato e concorrenza nella risposta alla crisi. E più sola nell’indicare un mondo ragionevole e possibile per tutti. Da questo punto di vista lo straordinario discorso di Obama al Cairo stride davvero con i risultati delle elezioni europee.
Così l’Europa si avviluppa sulla sua parte meno capace di dire e proporre. Perché si chiude in difesa. Perché non riconosce le origini della presente crisi. Perché non si confronta con il mondo e con le sue grandi questioni… Infatti ovunque vince o aumenta la destra conservatrice – quella che negli ultimi quindici anni almeno ha sostenuto il delirio liberista e la moltiplicazione del denaro attraverso denaro fittizio – un modello che ci ha portato dentro questa crisi. E’ paradossale eppure vero: è come se il partito di Bush vincesse in Europa, nonostante la crisi – o, anzi, proprio in virtù della crisi.
Perché accade ciò, a differenza che negli stati Uniti? Ci dobbiamo finalmente domandare in modo radicale – oggi – se e quanto pesano, in questo, i ruderi ideologici di una sinistra conservatrice, incapace di proposta, culturalmente autoreferenziale, inetta anche a pensare agli individui, alle loro libertà e, al contempo alla responsabilità collettiva; e sovranamente incapace di ricambio nel suo personale politico e nel suo metodo, nei suoi linguaggi e nei suoi contenuti… incapace di aprirsi e di ricercare e mettersi in gioco. In controtendenza il grande e piccolo successo di Cohen-Bendit in Francia - che aveva rotto da tempo con i brontosauri della sinistra (a differenza dei verdi italici) - forse ci dice qualcosa su questo tema.
L’Europa si ripara nei suoi mille provincialismi. Lo fa anche l’Italia sostenendo la Lega ma non solo: la nostra politica – tutta - ha fatto di queste elezioni una vicenda del nostro angusto cortile. Dentro il quale - si dica quel che si vuole – continua a regnare un bulletto di quarto ordine, sostanzialmente incontrastato.
L’Europa dei cittadini è più debole stamattina. Essa si chiude intorno a antiche difese di privilegi e pregiudizi. E a piccole o ignobili vicende nazionali e locali. E’ senza respiro, non mostra orizzonte.
Questo è un male enorme per i nostri figli.
E di più: l’Europa mostra anche una terribile tendenza a ricadere nelle ombre orribili del secolo scorso. Infatti i partiti euroscettici e i bagliori apertamente razzisti e anche fascisti hanno ottenuto forti consensi ovunque, dalla civilissima Londra a Milano a Vienna a Bratislava a Praga. E a Budapest. Penso in particolare a quel 16 percento di ungheresi che sostengono con il voto la recrudescenza antisemita e antizigana della destra estrema ungherese; nell’Ungheria che fu il territorio delle terribili armate dell’ammiraglio Horty che, durante la guerra, aiutarono i nazisti a portare allo sterminio 700.000 ebrei e 200.000 zingari magiari. E’ la storia triste di una parte della mia famiglia e dunque mi colpisce ancor di più. E poi: il risultato di Budapest non è qualcosa di alieno a noi… parla lo stesso straziante linguaggio, si nutre del medesimo humus che hanno fatto morire in quel modo il povero Petru nel centro della nostra città , che hanno permesso l’assalto ai campi Rom di un anno fa, che hanno fatto cacciare una donna africana da vicino al suo bambino appena nato…
E’ così: le grandi assunzioni di responsabilità di fronte alle sfide vere del nostro tempo – cittadinanza, sviluppo, ecologia - sono più lontane e alcuni mostri stanno ritornando. E l’America solitaria di Obama appare davvero troppo simile a quella di Roosvelt degli anni trenta.
Proviamo, almeno noi nel nostro piccolo, ad aprire un dibattito su queste cose. E evitiamo di avvilupparci a nostra volta solo sulle vicende della nostra povera provincia… che tra tutte è quella e sarà quella ancor più lontana da ogni prospettiva di sviluppo basato sulla difesa dei diritti di tutti e ciascuno…
Proviamo ad aprire un dibattito più largo almeno noi. Perché se non parliamo della crisi dell’Europa non abbiamo prospettiva alcuna neanche per le vicende nostre.

L'immagine mostra la concentrazione troposferica del biossido di azoto, proxy di inquinamento.

6 commenti:

roberto vallefuoco ha detto...

Marco hai ragione, dovrebbero essere questi i temi sui quali discutere, anche per aiutarci nella comprensione di un mondo che sta velocemente cambiando, ma che rischia di trovarci sempre più lontani, distanti, condannati ad una dimensione provinciale, prigionieri di retaggi culturali, chiusi in recinti sempre più marginali....
Non lo so cosa si può aggiungere alle cose che scrivi tu in maniera così convincente. Proviamoci comunque. Pensiamoci almeno a discutere davvero di cose serie.

luciano ha detto...

Le elezioni della paura. Così io penso si può sintetizzare il voto. Paure che agiscono a diversi livelli. La crisi economica punisce inevitabilmente le forze al governo (vedi crollo dei socialisti in Spagna e in Inghilterra dei laburisti), essa agisce a livello materiale, portando sul lastrico migliaia di nuclei familiari, ma forse soprattutto a livello culturale, minando la fiducia nei confronti dei programmi politici progressisti, già soggetti al contraccolpo della crisi delle ideologie novecentesche.
Questi fattori aprono le porte alla peggior destra immaginabile, xenofoba, gretta, autoritaria, omofoba, misogina, misantropa. Vengono premiati tutti i sentimenti di chiusura e di sfiducia nei confronti del mondo e delle culture altre.
E dunque viene fuori tutto il peggior armamentario, tipico dell'integralismo culturale.
Inevitabile che il bastione, il faro della civiltà (the beacon, come dicono qui a NY) sia nelle mani di chi costitutivamente ha in sè il cosmopolitismo, di chi da secoli ormai (eh sì, si può parlare di secoli anche in riferimento alla storia americana) è abituato a gestire la diversità in casa propria (con tutte le contraddizioni e le tragedie della storia della diversità americana). E questo dato diventa un grande punto di forza, mirabilmente rappresentato da Obama nel suo messaggio al mondo islamico all'università del Cairo. In fondo gli States sono fin dalla nascita costruzione pragmatica di comunità, su questo (consentitemi una citazione colta) Tocqueville è impareggiabile. Stando qui a NY, mi viene in mente che la sinistra europea avrebbe bisogno di robuste iniezioni di Tocqueville, un critico ante litteram delle semplificazioni e delle retoriche rivoluzionarie europee.

Nunzio ha detto...

Condivido gli spunti di riflessione di marco e l'analisi di Luciano. Mi stupisce il risultato spagnolo, proprio li dove la sinistra pare non prigioniera dei difitti che Marco segnala così bene.

Pietro Spina ha detto...

fra tanti spazi "virtuali" per l'analisi (o l'autopsia) del voto preferisco questo perchè il post di marco e i commenti offrono spunto una riflessione pacata, profonda e non provinciale (in tutti i sensi). soprattutto apprezzo quello che scrive marco perchè ha anche il pregio di evitare i toni nostalgici consueti e quasi subliminali dei commentatori di sinistra. pare niente, ma dire che non c'è la sinistra è ben diverso che dire non c'è PIU' la sinistra. in quell'avverbio c'è un abisso di nostalgia e rifiuto di comprensione della realtà.
io credo, personalmente, che le ragioni di un arretramento generalizzato europeo della sinistra, in tutte le sue declinazioni, siano connesse profondamente alla impressionante percentuale di astensionismo. e lasciamo stare che in Italia pare che abbia favorito la riduzione di berlusconi. e lasciamo stare anche Napoli.. certi ragionamenti non hanno senso in posti in cui il voto di opinione è una percentuale misera e l'astensione indica solo che il minore grado di accanimento dei vari "pacchettisti" di voti.
FOrse è fisiologico, è normale nei sistemi democratici che una parte della popolazione abbia un rapporto molto distaccato e superficiale con la politica, che consideri una cosa davvero da poco l'esercizio del voto, una cosa che non meriterebbe mai lo spostamento di un week end al mare. ma c'è anche un'altra parte della popolazione che invece nella politica ripone una certa fiducia e capisce che l'esercizio del voto è ciò che rende la politica una cosa che ha a che fare con la democrazia. quando questa parte della popolazione non vota, la democrazia arretra e la politica diventa sempre più un fatto di potere personale.
per questo, credo, svilire la politica significa minare il fondamento dei sistemi democratici.
Quello che ha fatto Obama, al di là di quello che farà, è già un successo perchè riporta molte persone a ritrovare nel voto il senso della partecipazione politica.
questa è un'operazione di sinistra. tante volte abbiamo parlato (anche con marco rossi doria) del senso delle categorie di destra e sinistra. credo che la differenza tra quello che succede in europa e quello che fa l'america di Obama sia un buon esempio del fatto che la differenza esiste ed ha ancora molto senso.
sarebbe di sinistra, secondo me, un'operazione politica che tenti di dare al voto il senso di affermare contenuti, scelte, partecipazione reale alla vita della polis, cioè politica.
niente a che vedere con vallettopoli e monnezza varia, con cui il partito-premier e il partito della Repubblica
hanno appestato la campagna elettorale, ma niente a che vedere anche con le candidatura dell'identità, dei "brontosauri", dell'unità dei comunisti. e nemmeno con il populismo di chi "fa l'opposizione vera perchè almeno alza la voce" o con gli slogan intolleranti e xenofobi di chi non vuole confrontarsi con l'immigrazione come problema reale.
io credo che un'operazione del genere sia, oggi, di sinistra, così come il perseguimento dell'unità politica dell'Europa sia un programma di sinistra. e per convincersene basterà vedere che più le isituzioni europee (in primis i governi nazionali) si spostano a destra, meno si costruisce l'europa. credo che la sinistra europea, se avesse voluto dire qualcosa "di sinistra" avrebbe dovuto cominciare a parlare di questo, della costruzione dell'europa. a dire, per esempio, che non si può continuare a buttare miliardi di euro per mantenere una casta di burocrati in centinaia (letteralmente) di comitati che danno pareri non vincolanti su e giù tra Bruxelles e Strasburgo e chiamare questa Unione Europea.
per ora mi fermo, che sto esagerando. spero si sia capito qualcosa di quello che volevo dire.

ps. ciao Nunzio, ci sono sempre stato, però a volte non so che dire e così ascolto :)

luciano ha detto...

Concordo con Pietro.
Un progetto di sinistra deve avere come binari principali quelli che dici tu. Però è anche vero che non possiamo fare finta che in questo paese non ci sia stata una profonda trasformazione culturale indotta da Berlusconi. La domanda allora è: come si fa a intercettare il voto dei clientes e dei peones (detto in modo meno sprezzante: della base sociale e culturale di questa destra, direi a questo punto, europea)? Mica possiamo andargli a spiegare che l'Europa è una necessità (semplifico, ma per intenderci). Bisogna allora individuare quali sono i possibili punti di ancoraggio di una strategia di sinistra in quel sostrato socio-culturale. Che ormai, lo vediamo tutti i giorni e ogni giorno più nitidamente, costituisce uno zoccolo elettorale duro, come lo era un tempo quello del Pci e della Dc. Io penso che bisogna lavorare di testa su queste cose, curare il dettaglio della porposta politica, dall'immagine alla interlocuzione con gli interessi.
Cosa è che ammorba costoro nella loro vita quotidiana e nel rapporto con le clientele che li avviluppano? Una forma di subordinazione della quale potrebbero liberarsi? E in quali termini gli proponiamo un percorso di emancipazione, come gli prospettiamo una qualità della vita migliore. Qual è la proposta politico-culturale che facciamo a questi? Perché mi pare chiaro che finché la sinistra non si radica nelle zone di soffereza e di emarginazione, non andrà da nessuna parte.
La strada è difficile, ma da qui, bisogna partire.

Paolo Esposito ha detto...

http://caffenews.wordpress.com/2009/06/12/incontro-con-marco-rossi-doria-o%e2%80%99-prufessore/

Ciao Marco!
Occhio al link in alto, è l'intervista che ti ha fatto qualche giorno fa Mario Secondo a Trento.
A presto e buon lavoro!
Paolo