29 marzo, 2010

Una lettera a Levi Strauss, buon’anima, dalla povera italietta

Su Il Manifesto di domenica 28 è uscito questo articolo di Marco Aime che ho deciso di riportare integralmente:

Caro Professor Lévi-Strauss,

lo so, lei ci ha lasciati qualche mese or sono, ma le scrivo lo stesso, perché forse solo lei, dal suo meritato ritiro riuscirà a leggere lo sconforto. Noi quaggiù, che abbiamo studiato sui suoi libri e su quelli dei molti bravi antropologi culturali che hanno saputo costruire una disciplina in grado di leggere l'umanità con occhi diversi, ci siamo rimasti male. Male a vedere, che quasi un secolo di studi, di dibattiti per cercare di smontare, faticosamente, l'etnocentrismo, che ci accompagna tutti e far comprendere che non esistono culture superiori o inferiori, ma semplicemente diversi modi di organizzare la società e le relazioni umane, non è servito a nulla. O a ben poco se nel 2010, dopo una riforma dei licei definita con modestia dalla sua autrice Mariastella Gelmini «epocale», possiamo leggere nelle indicazioni nazionali dei licei delle Scienze Umane che «tra i temi da affrontare ci sono «le cosiddette culture primitive, il loro carattere prevalentemente magico-sacrale, e il passaggio alle cosiddette culture evolute».
Speravamo che l'aggettivo «primitive» fosse rimasto solo un rigurgito del passato, magari utilizzato in conversazioni al bar, ma non che finisse in un testo governativo. È vero, hanno aggiunto un «cosiddette» per addolcire un po', ma si potevano trovare ben altri modi o semplicemente si poteva parlare di culture e basta. Certo questo avrebbe posto sullo stesso piano noi e gli altri e forse a qualche leghista o filo-leghista zelante questo non sarebbe piaciuto. E poi come giustificare il «passaggio alle cosiddette culture evolute»? Nelle pagine successive, abbandonata la prospettiva antropologica, infatti di culture non si parla più, ma solo di civiltà. Ça va sans dire che non si parla più di Africa, Oceania, Asia, ma della luminosa Europa. Loro, i primitivi hanno la cultura, noi la civiltà.
 Le hanno anche fatto un torto, professore: tra le letture consigliate hanno indicato proprio un suo libro, Tristi Tropici, di cui sinceramente ricordo le minuziose descrizioni delle pitture facciali dei Caduveo, le raffinate analisi sul loro concetto di simmetria, l'attenzione per la complessità dei sistemi simbolici e dei meccanismi narrativi delle popolazioni da lei incontrate. Ricordo il suo, talvolta persino pedante, disgusto nei confronti del passaggio alle «culture evolute». 
Sono bazzeccole, forse, ma rivelano come minimo scarsa attenzione al linguaggio. Perché se non è semplice sciatteria, allora è grave. Significa che tutto lo sforzo compiuto per dimostrare che la maggior parte delle dicotomie basate sul binomio noi/loro, sono frutto di una nostra costruzione è stato vano. Inutile aver relegato le teorie evoluzioniste nei libri di storia del pensiero antropologiche, come reperti di archeologia di un pensiero che speravamo non potesse più essere condiviso. Inutile aver tentato di spiegare come quello del progresso e dello sviluppo siano dei miti occidentali, che stanno alla nostra società esattamente come i miti fondatori stanno a quelle società «cosiddette primitive». Ma noi non pensiamo siano miti, perché noi abbiamo la storia, noi abbiamo l'innovazione e loro la tradizione. Sono indietro nel tempo, nella corsa al progresso, per questo si parla di passaggio alle culture evolute. Passaggio inevitabile, sembrerebbe, nella mente degli estensori del testo, altrimenti ci avrebbero aggiunto almeno un «eventuale» o un «possibile». 
«Il barbaro è anzitutto l'uomo che crede nella barbarie». Sono parole sue, professore, che dire? Ci può consolare il fatto che ci sono migliaia di bravi insegnanti, che a dispetto di un trattamento economico da terzo mondo e delle continue angherie esercitate da certi ministri sulla scuola pubblica, sapranno andare ben oltre le intenzioni di Gelmini & Co., sapranno spiegare quanto sia complessa la cultura umana e come le sue differenti espressioni siano anche in qualche modo connesse tra di loro; come si trovino sistemi di pensiero quanto mai raffinati anche tra quelle società cosiddette primitive; che le culture sono cantieri sempre aperti, in continuo movimento, in cui si monta e si smonta, utilizzando anche pezzi che vengono da fuori. 
No professore, non ho scordato quella frase, quella relativa al «carattere prevalentemente magico-sacrale», è solo che mi ha dato non poco da pensare. Certo, parole come queste potrebbero far pensare a società sprofondate nelle nebbie di credenze e superstizioni irrazionali, a individui succubi della magia, che si muovono impauriti, temendo lo scatenarsi delle ire di maghi, streghe e divinità varie.
Eppure sono arrivato persino a prendere in considerazione che questo fosse un segno di riconoscimento delle culture altre. Le scrivo da un paese dove a pochi giorni dalle elezioni i più alti rappresentanti del sacro, intervengono per dire chi votare; dove il capo del governo, similmente ai re divini del passato, si definisce «unto del Signore» e si considera un taumaturgo (ha detto che sconfiggerà il cancro); dove la gente spende migliaia di euro in lotterie e gli oroscopi sono le pagine più lette dei giornali.
 No, no non abito in Burkina Faso, ma in un paese che fa parte del G8. Mi scusi se l'ho disturbata professore, ci perdoni.

28 marzo, 2010

Auspicio di buon passaggio nel giorno delle elezioni

Pesach significa passaggio. E siamo a un passaggio.

Prima della Pasqua ebraica si puliscono le case dalle cose lievitate. Si cercano ovunque - anche le briciole - e lo si fa con la candela. Secondo una consuetudine, la candela usata per la ricerca deve essere bruciata assieme alle sosanze lievitate trovate. Secondo alcuni maestri è probabile che il senso di tale usanza sia che colui che sente come dovere primario quello di trovare attorno a se soprattutto cose negative, alla fine sarà distrutto e consumato dal suo stesso odio.
Speriamo che sia così anche per quel signore di una certa età che ci governa, il quale – al di là di ogni considerazione politica – è una persona disturbata, divorata dalla ricerca dei nemici e dall’astio, incapace di propositività, che ha sparso risentimento e cattiveria come poche altre personalità nella storia d’Italia, contribuendo a farci diventare tutti più cattivi e meno solidali, meno capaci, meno intelligenti, meno curiosi e contribuendo non poco a rovinare questi anni di vita, a noi e ai nostri figli.

22 marzo, 2010

Political endorsement: Sergio e Marco

“Political endorsement is the action of publicly declaring one's personal or group's support of a candidate for elected office”.

Chiamasi endorsement politico l’atto di dichiarare pubblicamente il sostegno – personale o di gruppo – a un candidato per una carica elettiva.
Sarò breve e chiaro nel fare il mio piccolo endorsement per le elezioni regionali della Campania. E lo riferirò a persone. Perché sono testimone del fatto che quelle persone che qui indico sono individualmente capaci di non vendere l’anima a partiti e schieramenti.
Per chi - come me - si occupa di lavoro sociale ed educativo, di welfare partecipativo, sviluppo locale e sostegno alle fasce più deboli della nostra popolazione, molto estese, conviene avere in consiglio regionale una persona che viene da lunghi anni nel nostro mondo, che è corretta, che di queste cose se ne intende e che ragiona e opera sul da fare in modo onesto e non provinciale. Un candidato di questo tipo c’è. E’ Sergio D’Angelo.
Per chi pensa che si debba sapere emendare nel concreto la scandalosa incapacità di legiferare del nostro consiglio regionale, c’è qualcuno che l’ha già fatto emendando l’ultima finanziaria campana con proposte serie, che sono passate. Su acqua pubblica, no nucleare, tariffe RC auto che premiano i virtuosi, bonus sulle bollette per i poveri, incentivi alle imprese che assumono davvero. E’ Marco Esposito.
Avvertenza non secondaria. Per chi approva queste mie proposte di candidati ma, per le più diverse ragioni, non crede nel candidato presidente De Luca - che le loro liste indicano, si ricorda che la legge prevede anche il voto disgiunto.
Se, poi, ci sono persone che ritengono di non voler/poter proprio votare per candidati nelle liste IdV o Sel e che si debba votare PD, noto che, nelle nostre condizioni questo ragionamento è purtroppo debole. Perché la lista del Pd non è una bella lista, imbottita – com’è – di esponenti della nomenclatura bassoliniana che ci ha portato a questo disastro. Ma, come è noto, io frequento assai poco e con crescente disaffezione e fatica il PD e solo nella componente di Ignazio Marino. E soprattutto - per ragioni altrettanto note - lo faccio lontano da questi luoghi, “in esilio”, a Mantova. In ogni modo, se qualcuno voterà comunque PD, segnalo il candidato Nino Daniele, persona garbata, buon amministratore e non appartenente alle nomenclature bassoliniane che lo circondano in quella lista.

21 marzo, 2010

Politica campana e “società civile”

Oggi su Repubblica Napoli c’è questa mia riflessione sulla strutturale debolezza della società civile nella nostra regione.

Ancora una volta ci si domanda: come voterà la “società civile”? Si asterrà perché disgustata da questa politica? Oppure voterà per Ferrero o per la compagine di Grillo? Voterà per Caldoro perché l’alternanza è la risposta più naturale all’evidente fallimento del centro-sinistra? Voterà per De Luca perché gode di fama di uomo che intende affrontare i problemi e fare di testa sua? O lo sosterrà perché è percepito come il male minore? La risposta è ovvia: farà tutte queste cose, a ranghi separati.
Invece, molto meno ci si chiede dei temi che dovrebbero essere al centro della campagna elettorale. Perché riguardano la vita reale. Come sostenere quel 25,3 per cento di campani che vivono sotto la soglia di povertà, ben 1.340.000 persone? Come aumentare e rendere efficace la spesa sociale che oggi è del 29 percento inferiore alla media delle altre regioni? E quali stimoli sono possibili e in quali settori per fare ripartire il nostro PIL che è a meno 2,8 percento, la decrescita più marcata del Paese? E quale nuova idea di percorso professionale si può costruire per il 28 percento di ragazzi che non si forma? Cosa si può realisticamente proporre ai cittadini, sia ricchi che poveri, che fuggono via di qui al ritmo annuale di 6 ogni mille? Come mobilitare risorse per fare ritornare le donne campane nel mercato del lavoro dato che oggi lavorano solo 22 donne su 100? Su queste cose come si può invertire rapidamente la rotta nell’uso dei fondi europei dato che, dal 2007, abbiamo speso solo il 18 percento di quanto potremmo e che tra tre anni questo rubinetto sarà chiuso? Senza parlare di rifiuti, ambiente o dei 4000 morti per camorra negli ultimi lustri...
La verità è che la nostra “società civile” fa fatica a trovare una voce incisiva sui temi veri della Campania. Semplicemente perché è molto più debole che altrove. E, per capirlo, conviene riandare a una definizione un po’ classica e estensiva di “società civile”: Perciò: dicasi “società civile” l’aggregazione di cittadini intorno al perseguimento dei diritti politici e sociali, alla soluzione dei problemi comuni, alla difesa di quei diritti che Kant definì “i diritti innati”, a cominciare dal diritto alla libertà. E’ in spazi di libertà, dunque, che cresce questa aggregazione. Libertà innanzitutto dai condizionamenti del potere. Cosa rara da noi.
Invece la società civile cresce altrove. E, sia pure a fatica, argina i condizionamenti. I cittadini si attivano in tempi e con modi che sono indipendenti dalle scadenze elettorali e dagli schieramenti tradizionali. Si dedicano con costanza a studiare i problemi: risorse, energia, scelte nello sviluppo, sicurezza intesa anche come convivenza, ottimizzazione della spesa, controllo della qualità dei servizi, diritti comunitari e dei singoli, metodi di decisione... Vagliano opzioni e proposte. Esercitano forme di condivisione delle possibili soluzioni. E solo dopo si pongono la questione di come farsi valere anche con il voto.
E il dibattito sul voto non indebolisce, come avviene da noi, le reti di attivismo che si sono, intanto, costituite. Infatti tali reti hanno tessuto relazioni autonome, accumulato competenze. E soprattutto hanno imparato che ci si può far valere, che si può pesare sulle decisioni pubbliche quanto più non si è supini a chi governa e quanto meno si è solo protestatari. Nel tempo conta di più l’essere propositivi e ben centrati su obiettivi e compiti. Per questo crescono le reti civiche. Per questo possono conservare caratteri aperti, fluidi, anche creativi, divertenti, ricchi di posizioni diverse che pur si parlano. La politica esce, in questo modo, dall’ ossessione dell’appartenenza “identitaria”, dal sistema ideologico delle “coerenze interne”, dalle misere categorie della fedeltà e del tradimento. Crescono, invece, le aggregazioni per temi e per territori. Che rifiutano l’appartenenza ideologica, che si fondano su bisogni, diritti e aspirazioni; che scelgono il metodo della ricerca anzicché il criterio dell’adesione. Si tratta di un cambiamento culturale indispensabile per affrontare la complessità e che consente di stare insieme tra persone diverse, di cambiare anche posizione perché si deve apprendere per proporre soluzioni.
Quanto più radicato e costante è questo tipo di protagonismo, quanto più elabora risposte credibili e largamente condivise e tanto meno la politica tradizionale può pretendere di cooptarne le differenti componenti; tanto meno si permette di usarle l’una contro l’altra; tanto meno osa chiedere il sostegno incondizionato a un partito o, peggio, a un capo. E’, al contrario, la rete civile a dettare le condizioni: se vuoi il voto devi ascoltarci, misurarti con le opzioni elaborate anche fuori dai palazzi e favorire processi decisionali partecipativi. E’ sulla base di queste esperienze, molto diffuse, che l’Unione Europea ha sempre più largamente accolto - nei suoi ordinamenti - il valore dell’organizzazione diretta dei cittadini. Perché si estende l’esercizio di cittadinanza, crescono le competenze nel sapere analizzare cose complicate e fare proposte sensate, aumenta il capitale sociale. E non tutto viene ridotto al consenso attraverso il voto.
Ma nel Mezzogiorno e in Campania siamo ancora molto ai margini di tutto questo e la sudditanza dei cittadini resiste. Per molte ragioni. Perché manca lo sviluppo - e non da questa recessione, ma da decenni. Perché il sostegno ai più deboli non ha trovato dispositivi stabili, tanto che la porzione di società ridotta al bisogno, più facilmente ricattata, rappresenta da anni una porzione enorme della società. Perché l’impresa, le professioni e le arti indipendenti sono un’eroica eccezione. Perché la concorrenza è ancor meno presente che altrove. Perché – in buona sostanza – siamo una società con pochi ceti medi liberi e, soprattutto, con pochi veri occupati altrettanto liberi. Che, perciò, riproduce un deficit di libertà. Che fa comodo a una politica povera di vera cultura democratica, sia a destra che a sinistra.
Perciò la nostra “società civile” è condizionata dal prevalere di un uso clientelare della spesa pubblica in tutti gli ambiti dell’economia, della ricerca, della cultura, del welfare. E prevale il volere, spesso irrazionale e caoticamente espresso, di ceti politici - eredi del vecchio notabilato meridionale - buoni a ben poco ma capacissimi nel creare e conservare eserciti di mediatori e mestieranti che chiedono adesione e fedeltà in cambio di sovvenzioni, finanziamenti, consulenze, supporto, visibilità.
Così, da noi, se vuoi innovare la fabbrica di famiglia o proporre una ristrutturazione in un reparto ospedaliero, se vuoi rendere credibile il riciclaggio della plastica o rilanciare la formazione professionale tra i giovani più poveri, se hai buoni progetti di ricerca o vuoi aprire un ristorante o una scuola di danza non pensi ad aggregarti e diventare forte ma ad andare, a ranghi separati, con il cappello in mano, dal “capuzziello” di turno. Perché sai già – per dura esperienza - che non è il merito della questione che conta bensì il solito adagio: “devi intanto sostenermi alle elezioni e poi si vede....”.
Ma una società così non ha futuro. E perciò non vi è che una via da percorrere, quella della testarda azione per fare crescere la società civile. E quelle tante persone che amano la buona politica, che siano candidati o non lo siano, che oggi intendono votare in un modo o nell’altro o non votare, devono, comunque, sapere che non si scappa dall’urgenza di riprendere la via della libertà dai condizionamenti. Il futuro dei nostri figli dipende da quanto noi madri e padri siamo capaci di fare questo.
E sarà un vero leader il primo politico campano che, indipendentemente dalla sua storia passata, avrà il coraggio culturale e umano di dismettere davvero il vecchio adagio, di disarmare con intelligenza la baracca clientelare, di sostituire progressivamente il sistema delle fedeltà con quello delle reti di competenza e di leadership diffusa, fondata sulla crescita di una moderna cittadinanza.

20 marzo, 2010

Inciviltà e forza d’animo

Non esistono solo le elezioni. Non c’è solo il signor Berlusconi e la virulenza con cui attacca le regole e la convivenza civile nel nostro povero Paese. Esistono molti preoccupantissimi segni di inciviltà. In senso proprio: cose fuori dalla possibilità di vivere in pace entro la civitas, entro la negoziazione regolata, propria di ogni spazio comune tra essere umani.
Il sindaco della più moderna città d’Italia istiga a entrare in casa delle persone senza permesso. In barba a ogni norma di diritto liberale.

Un'alta corte italiana decide che si possono strappare i figli ai genitori solo perché stranieri. In barba alla Convenzione dei diritti del bambino di New York.

Un ragazzo – Stefano Cucchi – che morì (lo attesta una commissione parlamentare di inchiesta) perché alle cattive condizioni di salute si aggiunsero la violenza delle mancate cure e le durissime percosse, entrambe vigliaccamente inferte da parte di pubblici ufficiali nel chiuso di una galera - è stato ora sepolto senza nemmeno avvisare la famiglia.

Questo si viene a sapere che accade nella Italia cattolicissima. Paese povero di diritto, di buon senso, di pietas.
Dobbiamo farci venire molta forza d’animo per poter riprendere il cammino della civiltà.

17 marzo, 2010

Quattro amici al bar – un resoconto

Qui un resoconto della riunione di domenica scorsa.
Nei prossimi giorni prometto di fare un endorsement per il voto in Campania.

Abbiamo fatto il nostro incontro. Non eravamo solo quattro amici. C’erano sessanta persone. Altre venti almeno sono passate. C’erano molti candidati. Franco Diliberto di SeL, Nino Daniele e Marianna Panico del Pd, Marco Esposito di IdV, Osvaldo Cammarota e Igina Di Napoli della lista di De Luca, Elena Coccia e Lello Porta della Federazione della sinistra. C’era un rappresentante radicale che ha sottolineato la illegalità che permea i processi di presentazione alle elezioni. C’erano persone che intendono astenersi. Altre convinte a votare: De Luca, Ferrero, anche Fico. Molti indecisi che sono rimasti tali. E due o tre persone che intendono votare per il centro-destra. E’ stato, dunque, davvero uno spazio aperto e di reciproco ascolto. Buon risultato.

Daniela ha tenuto la presidenza e garantito interventi contenuti evitando il carosello dei candidati. E io ho introdotto i temi annunciati: povertà, mancato sviluppo, dispersione scolastica, cattivo uso della spesa pubblica, disoccupazione, emigrazione ecc. Dati alla mano, il senso del fallimento reale di una stagione e di una classe politica.
Qualcuno li ha ripresi nel merito. E tutti gli interventi hanno condiviso lo stato di depressione in cui ci ha costretto la cupa stagione bassoliniana, fatta di aspirazioni regolarmente frustrate, di metodo antidemocratico, di grave fallimento amministrativo, di pochezza culturale, sostanzialmente fondata sulla fedeltà al capo e sulla cooptazione in cambio di…
Sulla questione del voto ci si è divisi. Astensionisti: perché va mostrato il solco tra vita reale, possibilità di aspirare ad altro e questa politica. Dubbi sull’astensione: non votare contro Berlusconi è più faticoso che mai. Promotori del voto per Ferrero ma anche per Fico. Perché va avviato un ricambio, anche a partire da posizioni oggi di minoranza. O per la impossibilità di votare De Luca in quanto indagato o perché esponente della medesima cultura del bassolinismo. Sostegno a De Luca: la candidatura di De Luca rappresenta in ogni caso una sconfitta per Bassolino e/o può essere una svolta o sfida potenziale e che va riempita di presenze, idee ecc. E’ l’occasione per battere la destra e forse innovare ma “dall’interno”.
Più di un intervento ha sottolineato che è probabile che vinca la destra e che così deve essere dopo questi anni che ci hanno messo col culo per terra, per quanto sia doloroso: solo la sconfitta - - l’alternanza come fatto necessario - può, col tempo, creare qualcosa di nuovo. Altri si sono ribellati a questa attesa di sconfitta. Qualcuno ha notato che vi sono liste di centro-sinistra imbottite di bassoliniani, qualcuno, invece, ha adombrato la possibilità che sott’acqua Bassolino remi contro il centro-sinistra e che sposti addirittura voti su Caldoro perché “dopo di me il diluvio…”. L’ombra del governatore…
In ogni caso le questioni squisitamente politiche hanno appassionato di più delle questioni che riguardano l’analisi economica e sociale della crisi campana.
I candidati. La maggioranza dei candidati ha difeso la propria posizione non su base programmatica ma con ragionamenti generali, basati sullo “schieramento” e le sue motivazioni. Aggiungendo a volte che erano in lista in rappresentanza anche di istanze specifiche. Hanno fatto eccezione Nino Daniele e Marco Esposito. Il primo ha dichiarato che era venuto ad ascoltare e non ha parlato. Il secondo ha chiesto di votarlo per ciò che ha fatto e si impegna a fare: fermare in consiglio regionale le cose sbagliate e vincere battaglie concrete su come dislocare risorse, come lui ha già fatto emendando la finanziaria regionale addirittura da fuori.
In una breve chiusura della serata io ho auspicato che si riprendano i temi di merito e che c’è da riflettere sulla debolezza di tutti noi, della società civile cosiddetta; e sulla resistenza del notabilato che reitera la storia del Mezzogiorno come luogo povero di vera società civile, che delega le scelte a una casta di mestieranti della mediazione clientelare, ecc. e a un capo, a cui essere fedeli. E che è su ciò che dovremo a lungo combattere. Ho detto ammetto di avere pensieri tra loro anche contrastanti e che non penso di essere l’unico e che sarebbe bene ammetterlo e che capisco davvero chi non vota o chi vota per minoranze. Come molte volte ho fatto. Ma poi –contestato da alcuni – ho aggiunto che oggi penso anche che questa destra vada contrastata e che si deve provare a battere la coalizione berlusconiana anche in Campania. Con questa legge elettorale. Per la quale è eletto governatore chi prende più voti, una evidenza che può spingere a votare per De Luca nonostante altre considerazioni. Ho aggiunto che sono meno convinto di tanti che lo stare all’opposizione con questa destra sia un male necessario o forse utile. Infatti il rischio è che mentre governa una pessima destra - per nulla liberale né capace - vi sia il richiamo di sempre: tutti indifferenziatamente uniti all’opposizione sotto le bandiere della protesta ma senza proposte. Un tristissimo film già visto.

11 marzo, 2010

Cattiva educazione

Questi sono giorni cupi per chi - per condizione esistenziale o per mestiere - assolve a funzioni educative. Infatti la vicenda delle liste elettorali ha molte conseguenze nella vicenda politica e in quella relativa al più vasto patto tra cittadini e tra questi e le Istituzioni.
Ma rappresenta anche una ferita mortale a quella decisiva funzione umana che è l'educare.

Noi tutti, infatti, possiamo pretendere di educare i nostri figli, gli alunni o chi da noi vuole imparare un'arte o uno sport, solo se sono salvate alcune inderogabili condizioni. Se ci assumiamo il carico dell’esempio e del modello da fornire e, dunque, curiamo noi per primi la coerenza tra i proponimenti dichiarati e i comportamenti. Se presidiamo con costanza le procedure, le regole e i limiti, permettendo, in tal modo, ai più giovani di potervi fare i conti attraverso la adesione progressiva, per prove ed errori.

Ma poiché il mondo è imperfetto e noi con esso, dobbiamo anche assumerci - nella umana possibilità che le regole vengano disattese - l'onere di pretendere l'umiltà necessaria a rimediare alle conseguenze di tale disattesa. E se questo vale per i più giovani, vale a maggior ragione quanto più si è avanti negli anni e quante maggiori responsabilità si assumono. E' per questo che si educa al saper chiedere scusa sapendola chiedere a nostra volta. E che si attribuisce generale valore alla fatica delle ammissioni pubbliche di inadeguatezza ed errore. E che le si accoglie quando vi è una qualche sincera forma di contrizione e una riflessione leale sugli sbagli commessi. E non quando c'è la pretesa di avere torto e di invocare al contempo ragione.

Nel modo in cui si è preteso di rimediare al «pasticcio» sulla presentazione delle liste, ben al di là del merito della soluzione trovata, è evidente che chi occupa la posizione non solo politica ma simbolica del governo del Paese ha disatteso a queste funzioni adulte. E ha procurato una ferita simbolica severa al nostro poter educare. E con ciò ha indebolito - più di quanto già non lo sia - il papà che pretende coerenza tra la promessa ricevuta e gli atti del proprio figlio, il preside che prova a far rispettare gli orari e, se questi vengono disattesi, pretende le scuse prima della riammissione in aula, il mister della squadra di calcio di adolescenti di periferia che chiede ai ragazzi di seguire le regole e di rispettare l'arbitro e anche di ammettere il fallo commesso, la maestra di scuola d'infanzia che chiede alla bimba di quattro anni di non sgomitare per arrivare prima dei compagni e, se rimessa in fondo alla fila, di non pretendere di avere avuto ragione comunque.

Ci può essere una via di uscita? Certo. Chiedere scusa. Semplicemente e seriamente. Con la generosità leale che il gesto richiede. Sapendo che poi ci saranno degli atti conseguenti, da costruire insieme agli altri. Che dovranno a loro volta disporsi per farlo. Come accade per ogni riparazione. E se, per una volta, miracolosamente, questo fosse accaduto, sarebbe stato un piccolo regalo alla capacità di questo Paese di ritornare ad educare.

Questa cosa l'ho scritta per "la stampa" del 10 marzo.
Ma tutti sanno che chi doveva chiedere scusa ha invece raccontato un'altra storia, in modo aggressivo, vittimista e male educato.

10 marzo, 2010

Quattro amici al bar

Quattro amici al bar

I quattro amici al bar si incontreranno, dunque. Non al bar ma dal comune amico Bruno, al Sorriso integrale, ristorante vegetariano di Piazza Bellini. Ore 18 di Domenica 14 marzo.
Perché abbiamo desiderio di un parlare libero.
Abbiamo tutti una montagna di dubbi. Se votare o meno innanzitutto. E poi per chi, eventualmente. E soprattutto per chiedersi – al di là del voto - cosa fare della politica. In un posto che ne avrebbe un gran bisogno di buona politica. Non ci saranno relazioni. Solo una breve introduzione – minuti 5.
E’ un confronto tranquillo. Tra persone che, fortunatamente, la pensano anche diversamente. Un modo anche affettuoso di essere preoccupati per questo tempo in cui siamo. Uniche raccomandazioni: si parla uno alla volta, molto brevemente e rispettando questo clima. Sono contento che si farà questa cosa strana: non credo vi sarà un’altra occasione con tale spirito in questa campagna elettorale.
Per chi volesse, può annunciarsi su Fb.

08 marzo, 2010

Domenica 14, ore 18: vedersi per stare sui temi e anche per andare a votare

E’ inutile nascondersi. L’ultima settimana ha cambiato la scena politica, tingendo di buio pesto il suo grigiore. La vicenda delle liste riammesse – al di là delle opinioni sull’operato del Presidente della Repubblica e su tutto il resto – comunque pone prepotentemente una questione. Dalla quale ancora una volta non possiamo sfuggire: non ci possiamo permettere il lusso di non andare a votare.
E questo anche se in Campania i candidati non parlano in modo serio dei temi che riguardano la nostra vita e anche se non ci piacciono né i candidati e nemmeno le liste.

Insomma non fa parte delle opzioni possibili il non votare contro questa destra. Ci dobbiamo arrendere all’evidenza. So che è triste, mi fa male alla pancia anche a me. Ma questa vandea qui non trova paragoni nella storia repubblicana italiana e, se possibile, è andata peggiorando anno per anno, mese dopo mese.

E c’è dell’altro ancora. Dobbiamo probabilmente anche fare quella cosa che, in linea di principio non mi ispira affatto: il voto utile.

La domanda è dunque questa: possiamo tranquillamente tapparci il naso e fare la nostra piccola parte nel provare almeno ad arginare il berlusconismo? E come farlo in Campania, con queste liste e questi candidati?

Domenica vediamoci davvero. Perché dobbiamo parlare di questo e, insieme, non demordere dal voler discutere delle drammatiche emergenze del territorio e dei cittadini campani, a partire dai più deboli.
Su ciò io estenderei l’invito a quelle rare persone competenti e per bene che stanno nelle liste. E le chiamerei a confrontarsi su questo terreno.
E speriamo che non saremo pochi.

Il posto ancora non lo sappiamo e stiamo cercando l'ospitalità di amici. Lo troverete qui non appena sarà deciso.

Update: Bruno ci ospita e quindi ci vediamo a Piazza Bellini, al Sorriso integrale.

02 marzo, 2010

Appuntamento: rilancio

Lo so che qui tutti pensano a voti e equilibri e iniziative legate al voto.
Ma le questioni dei cittadini contano ancora. E per quanto saremo pochi penso che si debba “dare testimonianza” delle cose che servono alla Campania oggi. A partire da una analisi non lamentosa ma realista e asciutta della nostra realtà. Come ho scritto ieri: il meridionalismo ricominci con il pessimismo della ragione.
Perciò insisto di vedersi – magari a Piazza Bellini – e far parlare due o tre introduttori, brevemente. Su argomenti-chiave per la nostra vita qui. Salute, emigrazione, disoccupazione, povertà, formazione mancata. Scegliamo tra questi temi. Non delle conferenze. Ma inviti al confronto di merito. Provarci almeno. Farlo davanti a un giornalista che lo riporti. Poi si deve decidere chi altri invitare.
La data potrebbe essere Domenica, 14 marzo, dalle 18 alle 20.
E poi vino e formaggio. E il famoso caffè.
Che ne dite?

01 marzo, 2010

Miscellanea del pessimismo dell’intelligenza

Sono uscite le liste per le regionali della Campania.
Fatta salva qualche eccezione per lo più relegata in liste di testimonianza, a differenza di quanto si sbraita sull’essere “nuovi” sono vecchie vecchissime. A sinistra e a destra. Senza contenere né storia né storie.
E sono scalfite e corrose, unte e bisunte. Come una padella da cambiare perché avvelena ormai il cibo e che, però, non si trova il coraggio di buttare via. Ma forse sono io che vedo e leggo male. Perciò: vi prego, andare a leggere ognuno per conto suo, vagliare con cuore sgombero.
Sono disponibili on line anche i rapporti completi sulla povertà (2008 e 2009) e i dati di quella estrema nella nostra come in altre città. Vengono dalla Commissione di indagine sull’esclusione sociale detta commissione povertà.
Sono anche disponibili i dati della Fondazione Agnelli sull’istruzione e il divario Nord/Sud, commentati anche da Scotto di Luzio.
E i dati reali, relativi allo scorso anno ma molto significativi, del Ministero dell’Istruzione sulle insufficienze nel primo quadrimestre e di nuovo sulle differenze tra scuole del Nord e del Sud… (qui in pdf)

… Sud: con un “d” sola – mi raccomando. Quelli che … Sudd con due “dd” di queste cose non si occupano. Sono in campagna elettorale – non distraiamoli, per amor del cielo. Hanno i loro cavalli da spronare e i loro fantini da incoraggiare. Ma quelli che… invece sono del Sud ma non di Sudd possono investire un po’ del loro tempo per capire da quale baratro dobbiamo tirarci fuori. Sarebbe questo un buon primo passo di meridionalismo contemporaneo: pessimismo della ragione innanzitutto. Come fu della storia nobile del meridionalismo…O è troppo?

Ma c’è finalmente una lieve brezza di primavera. Che porta la mente al mare. Agognato. Ma anche su di esso – ahi noi! - c’è da riflettere – ricordate l’anno scorso e le piscine di plastica allestite per i bambini nei Quartieri Spagnoli perché l’inquinamento era oltre ogni limite.

Se non fosse che viene lo scoramento, ci sarebbe da dire “altro che elezioni: al lavoro e alla lotta”.