10 luglio, 2010

Un’idea di città, poi i nomi

Con Sergio D'Angelo ho scritto questo articolo che è uscito ne La Repubblica-Napoli di oggi.

Siamo preoccupati. Si stanno avvicinando le elezioni comunali e Napoli ha urgente bisogno di riattivare le sue forze migliori intorno a un’idea di città produttiva, vivibile, sicura, solidale. Ma il dibattito pubblico rischia ancora una volta di arenarsi entro gli angusti e irresponsabili spazi di questi partiti, da anni penosamente rivolti solo a se stessi, senza ombra di analisi né di proposta né, tanto meno, volontà di cambiare facce. E Dio sa quanto ce ne sia bisogno e anche desiderio.
Sia chiaro: non nutriamo alcun sentimento di antipolitica o di delegittimazione dei partiti. Anzi, insieme a tanti ci siamo battuti perché essi riprendessero finalmente ad assolvere alla funzione che la Costituzione attribuisce loro. Abbiamo richiesto le primarie di coalizione perché il centro sinistra si rimetta a pensare e proporre. Oggi - con spirito di servizio – facciamo un appello all’impegno comune per dare speranza a questa città. Ci vuole uno scatto di orgoglio, un cambio di passo, di metodo e anche di stile. E di generazione.


Proponiamo di partire dalle cose da fare, in modo autenticamente partecipativo. Perciò, nei prossimi mesi, intendiamo predisporre con cura proposte nuove e realistiche confrontandoci sul merito con tutte le forze disponibili. Con alcune ispirazioni chiare.
Innanzitutto la ripresa delle produzioni a Napoli. Una metropoli senza industria e imprese corrette non può avere fiato. Napoli può diventare una città industriale del terzo millennio, che salvaguardi i diritti e sia competitiva nel produrre, purché esca dai vecchi paradigmi. È una grande questione nazionale. Napoli salva se stessa se riprende a fabbricare beni in modo sì attento al carattere globale delle produzioni e dei mercati ma anche alla civilizzazione dell’economia che è legata alla qualità della vita: salute, servizi fruibili, apprendimento in tutte le età, difesa e rigenerazione dei luoghi e dei beni collettivi, sanità dell’ambiente. La via maestra per combattere la disoccupazione è ricostruire e innovare il tessuto produttivo urbano integrandolo con la città e legandolo al sapere tecnico e scientifico connessi con la crescita dell’economia sostenibile. E’ tempo di essere ambiziosi, di superare i lacci culturali del passato, di rendere operativa l’idea dell’imprescindibilità dell’attività economica dalla solidarietà e dalla responsabilità, anticipando quel che si deve fare in tutta Italia. Per farlo bisogna riconoscere che la crisi ha ridotto risorse e margini di azione e che lo scenario globale è la scena di ogni possibile rilancio, anche per una città; che c’è da battersi per contrastare l’agenda del governo che nega le condizioni minime per la ripresa nel Mezzogiorno; che va promossa una concertazione su investimenti che siano direttamente produttivi e credibili, pubblici e privati, sostenuti da quella parte del sistema creditizio disposto ad affrancarsi da logiche spartitorie e difensive.
Rilanciare i servizi pubblici. Snellirli innanzitutto. E renderli più prossimi alle persone, a partire da chi sta peggio. Una città divisa in due - tra tanti poveri e precari e relativamente pochi privilegiati - non può essere vivibile e sicura, né per gli uni né per gli altri. La lotta contro la camorra e il controllo dello Stato sul territorio - il ripristino del monopolio della forza – va accompagnata e sostenuta dall’offerta di aiuto costante a chi è meno protetto. Investire nella lotta alle diseguaglianze ha funzionato in molti luoghi. Purché ci si basi su principi di responsabilità personale, si creino alleanze tra gruppi di cittadini e soggetti sociali ed economici, si diano sicurezze economiche e anche occasioni formative agli operatori sociali, che sono una grande risorsa della nostra città. C’è, poi, da ridare ossigeno alla scuola - a partire da quella di base - che, davvero eroicamente, ha resistito in questi anni. Non è più tempo di fare recriminazioni sulla città dei bambini che non c’è stata, ma questa partita va rilanciata subito.
Sui rifiuti, tema concreto e simbolico, si può ripartire velocemente iniziando dalla riorganizzazione della raccolta differenziata. Sull’inquinamento è il momento di decidere di strappare pezzi della città al traffico. Sulle aree della città da valorizzare in tempi stretti e sul rilancio delle periferie c’è da dismettere i baracconi politico-burocratici che non hanno prodotto soluzioni ma, anzi, hanno fatto parte del problema: sono maturi i tempi per rapide concertazioni partecipate e l’avvio della trasformazione e dell’uso dei luoghi. Il piano senza il pieno riconoscimento delle azioni di quartiere, del protagonismo e delle reti di cittadini non ha prodotto cambiamento. Controllo serio, progettualità diffusa e attivazione delle persone vanno rimessi insieme. E va ripreso, con serenità ma rapidamente, il tema dei diritti: dei bambini, delle donne, dei disabili, degli stranieri. E dei gay. Una città che ha accolto così il Pride - con le donne dei quartieri che hanno applaudito il corteo e l’indomani sono andate regolarmente in chiesa - non può paralizzarsi su questioni di un tempo ormai tramontato. C’è la possibilità di una città delle differenze che sappia riconoscersi sicura e vivibile perché accogliente.
Parliamoci chiaro. In assenza di un candidato già riconosciuto, nella città più difficile e più giovane d’Italia - per pensare di fare queste cose – c’è da uscire dai soliti giochi e invertire la procedura: prima i compiti e il profilo e poi i nomi. Va costruita una squadra, intanto, di solide competenze e con molti giovani. E, poi, le candidature non possono più prescindere da alcune condizioni irrinunciabili: l’assoluta onestà personale, una competenza non ristretta ai circuiti della politica e alla scena napoletana, un linguaggio nuovo e chiaro, una cultura organizzativa contemporanea, la capacità di tenere insieme le differenze.
Ci diranno che la politica non si fa così. Noi pensiamo, al contrario, che una fase si sta chiudendo nel modo stesso di fare politica, e che la politica riprende senso e valore solo se si fa così. Non è facile, lo sappiamo. Ma c’è un’altra via?

06 luglio, 2010

(L)ode dell’Accompagnatore di carrelli

Ho un amico a Verbania. Si chiama Gianmaria Ottolini. E’ insegnante e ha a lungo condotto importanti esperienze innovative insieme ai suoi colleghi e colleghe. In una scuola che è stata all’avanguardia in Italia nella peer education. Che è quella cosa per la quale i più grandi si occupano dei più piccoli e vi è cura costante dei gruppi di pari perché da che mondo è mondo si impara uno dall’altro. Gli sono sempre stato grato per il rigore con il quale ha mostrato come cambiare a scuola sia possibile e utilissimo. Ora mi manda questa bellissima cosa. E la metto qui.

Aeroporto di Amburgo, primo pomeriggio del 23 settembre 2000. Sono di fianco alla scala mobile che sale nell’area di imbarco mentre aspetto le quattro ragazze della mia scuola che ho accompagnato nella settimana precedente ad Emden per un workshop internazionale (Germania, Austria, Italia, Russia) sulla figura dell’educatore svoltosi presso il locale l’Istituto professionale (Berufsbildende Schulen I).



Le ragazze sono in giro per l’aeroporto a far fuori gli ultimi marchi prima di imbarcarsi. Sfoglio un giornale mentre curo tre carrelli con i nostri bagagli. La coda dell’occhio mi fa percepire uno strano movimento nell’area alle mie spalle. Alzo lo sguardo e osservo uno strano turista – tra i 60 e i 65 anni - che, proprio di fronte a me e alla scala mobile, va a ad appoggiarsi alla balaustra delle scale che scendono al piano inferiore.
Ha l’aria tranquilla di chi sa che deve aspettare e passa il tempo ad osservare il via vai. Mi colpisce il suo abbigliamento che era certo quello del turista (forse un inglese, penso) ma con qualche incongruenza. Un po’ trasandato ma a suo modo di un’eleganza vecchia maniera. Pantaloni di velluto, scarpe larghe e scamosciate, un soprabito un po’ fuori stagione visto che quel fine settembre era ancora abbastanza caldo e un cappello di feltro grezzo, mi pare di ricordare verde. Al suo fianco, appoggiata, una borsa di plastica larga ed alta che sembra contenere uno o due pacchi.
Ad un certo punto, ero ritornato al mio giornale, lo intravedo muoversi celermente ma senza scomporsi nel correre. All’inizio non capisco, la borsa era rimasta al suo posto e vedo il nostro “turista” prendere un carrello abbandonato a fianco della scala mobile e sistemarlo nelle guide dell’apposito deposito. Naturalmente recuperando la moneta di due marchi.
Allora capisco. Il nostro è una sorta di “barbone snob”. Quello è il lavoro che si è inventato: recuperare i carrelli abbandonati e riportarli a loro posto con un guadagno netto di due marchi a carrello; e magari il recupero di qualche oggetto, rivista od altro dimenticati. Nella mezzora che segue sono altri quattro o cinque i carrelli abbandonati da viaggiatori frettolosi di imbarcarsi. Faccio mentalmente un rapido calcolo e penso che se la media è quella, il nostro può guadagnarsi almeno dai 10 ai 20 marchi all’ora.
Quando tornano le quattro ragazze, senza dare a vedere, spiego loro l’attività del nostro dirimpettaio. Decidiamo di abbandonare a nostra volta i tre carrelli, tanto le monete in banca non le cambiano e tra poco più di un anno si sarebbe passati all’euro.
Mentre stiamo salendo sulla scala mobile mi volto ed incrocio lo sguardo del nostro; ha un mezzo sorriso d’intesa. Ci siamo capiti.

29 giugno 2010. La giunta leghista di Montecchio Maggiore (già famoso per il caso della mensa comunale che aveva tenuto a pane e acqua i bambini non in regola con la retta) approva il regolamento di polizia urbana che all’art. 34, intitolato « Divieto dell’esercizio del mestiere girovago del cosiddetto “accompagnatore di carrelli della spesa” »– così recita: “È vietato su tutto il territorio comunale l’esercizio del mestiere girovago di “accompagnatore di carrelli della spesa”. Chiunque viola le disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria, da euro 25,00 ad euro 500,00.”

Leggendo questa notizia la prima cosa che ho pensato è che alla definizione di Carlo M. Cipolla secondo cui gli stupidi sono coloro che riescono a recar danno contemporaneamente a se stessi e agli altri si potrebbe anche aggiungere: coloro che non si rendono conto del ridicolo del loro agire.
Mi è poi visivamente tornato alla mente l’Accompagnatore di carrelli di Amburgo. Nella scala di Cipolla è certamente un rappresentante dell’intelligenza umana: capace di perseguire allo stesso tempo il vantaggio proprio e quello altrui. Mettere al loro posto carrelli che sarebbero di intralcio ai viaggiatori traendone un non insignificante guadagno.
Chissà se è ancora al suo posto? Mi piace pensare che la sua scelta dell’aeroporto non fosse casuale o solo frutto dell’ingegno, ma una sorta di preparazione al suo grande viaggio. Me lo immagino in qualche paese esotico a godersi, con meritato riposo, i marchi (e poi gli euro) accumulati carrello dopo carrello. Alla faccia degli stupidi intolleranti che non sanno apprezzare varietà e diversità dell’essere e dell’agire umano.