16 settembre, 2010

Tempo di battaglia

Che lo vogliamo o no, che ne abbiamo o no le forze, è tempo di battaglia. Non possiamo sottrarci. Infatti l’educare – il tema decisivo in ogni società – vede attaccato il suo stesso fondamento. Perché si educa se si considerano uguali i bambini e i ragazzi. E’ questo che sta a fondamento di ogni scuola e di ogni apprendimento trasmesso da una generazione all’altra. Perciò: non si può non rispondere. E bisogna anche difendere ogni volta il senso positivo che la scuola ha. Nonostante tutti i suoi difetti. Bisogna lo stesso partire dalle cose buone che fa; per esempio partire dal suo rituale primo, il primo giorno di scuola dei bambini. Per questo ho scritto a loro, ai bambini su La Stampa del 13 settembre i miei consigli di maestro. Perché qualcosa va salvata. E’ parte della battaglia.

Mentre i “simboli padani” della scuola di Agro imbrattano ogni idea di diritto uguale e di scuola come luogo salvo per tutti, l’atmosfera europea è infestata dalla cacciata dei rom dalla Francia – con moltissimi bambini e adolescenti - un precedente storico che speriamo provochi un sollevamento di indignazione vero. Così come è il caso di indignarsi contro il nostro presidente del consiglio che ieri ha applaudito, in splendido isolamento, lo screditato Sarkozy.

In questo scenario, l’inizio dell’anno scolastico ha posto la scuola al centro dell’agenda. E non solo per Agro e i precari cacciati. Ci sono classi bellissime con ragazzini di ogni colore e lingua, con docenti che vi lavorano magnificamente: da Verona a Trento, da Caserta a Roma a Palermo a Mantova a Torino. Il mondo è il mondo. Ed è qui. Per fortuna. E per fortuna c’è chi se ne occupa, nonostante i tagli alle scuole. Così, piccoli e grandi segni marcano un paesaggio molto vario, che ha bisogno di letture e anche di militanza: forte, argomentata, propositiva. E di riconsiderare la scena antropologica nella quale viviamo e si fa scuola oggi. Come ho provato a iniziare a fare con l’articolo su L’Unità del 7 settembre che parla del patto saltato tra scuola e famiglia. C’è, dunque, un attacco alla scuola e c’è anche un nuovo scenario educativo entro il quale la scuola si muove, è spaesata, fa fatica, prova a resistere. Il Sud è ancora una volta il più colpito. E ha bisogno di proposte semplici. Ne parlo nell’editoriale di seconda pagina de L’Unità di oggi, con il titolo La scuola e le due Italie (vedi qui sotto).

E poi Napoli. Che è colpita dalla chiusura definitiva del progetto Chance… E’ stata distrutta in dieci mesi l’ultima prova, faticosamente messa su da Cesare Moreno con una mediazione estenuante con la vecchia giunta campana, un compromesso con tanto di delibera, che – visti i difetti di quel governo regionale e l’ignominia di questo – è finita male davvero…. Ne parla oggi Salvatore Pirozzi su Napoli Monitor, domandandosi cose pertinenti, sulle quali ci interroghiamo da tempo.

Per me – che mi occupo ora a Trento di ragazzi difficili di ogni paese, impegnati nella formazione professionale - questa fine della cosa alla quale ho dedicato dieci anni difficili e bellissimi è cosa dolorosa. Penso all’autunno del 1996, a quelle pagine scritte, a quelle poche aule visitate, ai primi colloqui coi genitori del mio quartiere i cui figli non andavano a scuola. Un potere politico ignobile, lungo questi duri anni, non ha voluto e saputo rappresentare Chance e ha distrutto le nostre forze impedendoci di crescere, esaltando così ogni nostra inevitabile debolezza e mandando tutto a malora. E’ la politica che ha impedito che una isttituzione buona, legata alle persone e ai bisogni, potesse imparare da se stessa e insegnare alla città mentre ancora imparava da altro, da altri. L’opposto di quel che è chiamata a fare la politica. Semplicemente.

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