05 novembre, 2010

I parassiti

Mentre continua la terribile situazione della monnezza, il centro-sinistra entra nel turbinio delle manovre che tutto sono fuorché ricerca vera di risposte alle questioni che attanagliano la città.


Ma perché accade ciò? Perché prevale - rispetto alla logica dei problemi veri e del come provare a risolverli – questa logica del parlare di oggetti non intelligibili dai cittadini? Perché avviene, invariabilmente e ogni volta, che – quale che sia la condizione della città e quali che siano i tanti problemi disattesi – vi è una strenua tendenza a fare quella cosa lì che è la politica staccata dalla vita?
Ci sono molti motivi, certamente. Ma tra questi c’è che vi è una massa di persone – sufficientemente estesa, ancor più che nel resto dell’Italia – che si guadagna da vivere, appunto, facendo politica. E che non sa fare altro. E che pesa, perciò, sull’agenda, sui toni, sui ritmi, sui modi, sul lessico della politica. Si tratta, cioè, di persone che della politica hanno fatto luogo, motivo e tempo di lavoro variamente remunerato.
E’ una storia antica. Infatti il notabilato, nella tradizione del Sud – quello ben individuato da Giustino Fortunato in avanti – si è spesso composto da una quota parte di persone “capaci di tutto e buone a nulla” - piccoli e medi mestieranti delle pubbliche cose - i quali, tuttavia, avevano una qualche rendita di famiglia che forniva la base più o meno solida di una vita tranquilla. I mantenuti della politica partenopea odierni sono, invece, sempre “incapaci e incombenti” perché sono, per troppa parte, una genia di persone che non hanno mai imparato alcuna arte o che l’hanno fatta male per un certo periodo per poi dismetterla; che non sanno fare nulla e, dunque, vagano, parlano, fomentano, intrigano. Ma – rispetto alla genia analizzata dai meridionalisti classici – costoro non hanno un reddito proprio. E hanno la sola possibilità di procacciarsi reddito personale nella politica stessa. Esclusivamente. Dunque il loro agire si basa sul “creare o ricoprire spazi”, costruire pacchetti elettorali più o meno veri, prefigurare o fabbricare condizioni per un do ut des o, peggio, per ricattare e ottenere. Cosa? Un posto nel quale ottenere un buon reddito facendo politica a ogni ora del giorno. Un posto in un consiglio comunale o di municipalità, un distacco entro un ente qualsivoglia, un comando sindacale; o fare parte dello staff o dei consigli di amministrazione di aziende: municipalizzate, semi-pubbliche, private fortemente sovvenzionate, ecc. Ma – attenzione! – in una posizione laterale e protetta, dove non si deve lavorare ma “fare politica”, appunto. Un’altra cosa. Senza, cioè, dover dare conto ad alcuno che non sia il capocordata dell’appartenenza politica scelta o di un suo sottogruppo.
Queste condizioni esistenziali prive di mission e di responsabilità professionale e civile sono i loro ripari e il loro nutrimento. Si tratta, dunque, di parassiti. In senso proprio, non dispregiativo: “animale o vegetale, che vive e si nutre a spese di un altro essere vivente o ne sfrutta le risorse”. E, infatti, nella nostra vita di ogni giorno ce li troviamo a fianco lì dove noi lavoriamo e dobbiamo dare conto. Essi si individuano per questa loro funzione tacita ma altra. E ci si interroga. E non è facile la com-presenza. Perché percepiamo che noi ne garantiamo la sopravvivenza, senza volerlo. Come accade per ogni rapporto tra parassita e non parassita. E ogni volta verifichiamo, con tristezza e impotenza, che vi è tra l’una e l’altra situazione – entro gli stessi posti - una dimensione, assai complessa, fatta di opportunismi e risentimenti, sudditanze, conflitti. Proprio perché - entro gli stessi ambienti - convivono persone che fanno cose e hanno competenze e persone e parassitari taciti e accettati da troppo tempo.
Così c’è questo esercito parassitario – annidato in cento e cento anfratti e gusci accanto alle nostre vite – che ora sta entrando nella fibrillazione propria della stagione elettorale. E’ una fibrillazione non dettata da cattiveria. E il giudizio etico c’entra poco; e varia di persona in persona, come sempre. E’ una fibrillazione naturale. Perché è questo il tempo in cui questa genia difende le proprie posizioni, ogni individuo a suo modo; o aspira a una più redditizia o blocca la scena per poter agire. Tutto questo ha un risvolto che contribuisce non poco a paralizzare la città. Infatti chi non è parassita e sa fare cose, sa rispondere del proprio operare e, magari, vuole e potrebbe fare politica come effettivo impegno civile, si trova la scena occupata da chi lo impedisce .

E’ tempo che anche queste cose siano oggetto del dibattito pubblico. E forse dobbiamo ricominciare a gridare che – oltre e insieme ai poteri forti  evocati nell’articolo di Sergio e Guido sulla questione dei rifiuti – vi sono i parassiti, a sinistra come a destra, che impediscono la politica. Quella vera. Perché devono sopravvivere a se stessi. Perché altro non sanno e non possono. La ripresa della città è possibile solo se si combatte contro i poteri forti, le corporazioni conservatrici e i parassiti.

1 commento:

pirozzi ha detto...

penso, e da tempo, e nel mio piccolo,che questo sia un tasto importante. ma forse devi - dobbiamo - fare uno sfprzo per uscire da un impianto un po' idealista. la retorica idealista, quella che può attizzare gli emisferi destri, va bene. ma poi servono dicazioni più "strutturali" sulla trasformazione della politica, del suo esercito di delegati, suisuoi livelli di separazione dalla vita quotidiana- la mission è poca cosa. di sicuro serve rimettere, o forse metter, al centro un'altra declinazione della politica che la sottragga al monopolio dei suoi esperti edei suoi linguaggi e delle sue lobby, ridiscutendo di come e quanto siano politiche le pratiche anche quotidiane in tutti quei luoghi in cui l'agitr professionale produce società, a partire dai microlegami sociali che quelle pratiche producono. e ancora, ma senza fumose semplificazioni, immaginare come un ceto politico può nasscere senza essere, senza aspirare, a una sua separazione, come un servizio civile, part time, nella gestione della città. se e come serva un ceto politico separato, qunato esteso debbe essere, immagino sia necessario, ma non so andare oltre.
salumi comunisti