22 maggio, 2012

Nessuno tocchi la scuola


La giornata di Sabato 19 Maggio verrà ricordata a lungo, purtroppo. Per il terribile atto di stampo terroristico che ha insanguinato- per la prima volta nella Storia d’Italia- l’ingresso di una scuola. Togliendo la vita a Melissa Bassi- di 16 anni- e ferendo gravemente altri studenti.
Il Ministro Profumo, in una lettera indirizzata a tutte le scuole, ha rivolto agli studenti del Paese parole di vicinanza, chiedendo a tutti di non cedere alla rabbia e al dolore.
Ancora non sappiamo chi e perché abbia voluto compiere un simile gesto. Le domande sono troppe e troppo poche, ancora, le risposte. Di sicuro si voleva terrorizzare la popolazione- in particolare le scuole- ed è per questo che abbiamo detto che loro- chiunque siano- non hanno vinto.
Perché Sabato le piazze italiane si sono riempite della solidarietà e della vicinanza di migliaia di persone alle famiglie, agli studenti, agli insegnanti colpiti. Perché Domenica alle ore 18 tante scuole in tutta Italia hanno fatto un’apertura straordinaria. Perché da ieri si entra in classe normalmente- e proprio ieri insieme al Ministro Barca siamo stati nelle scuole di Napoli . E perché stasera migliaia di studenti si imbarcheranno con le Navi della legalità, destinazione Palermo. Dove domani celebreremo insieme alle alte cariche dello Stato il ventennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Lo dobbiamo a questi ragazzi- attenti, curiosi, impegnati. Alla forza e alla speranza che ho sentito nelle parole di una studentessa di Brindisi dal palco della manifestazione a poche ore dalla tragedia. E dobbiamo dare più forza alle scuole soprattutto nel Mezzogiorno. E’ quel che ho detto ieri alla Camera alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

14 maggio, 2012

Crescita, Coesione, Equità


La spending review servirà a tagliare sprechi e inefficienze dell’amministrazione: ne ho parlato in un’intervista pubblicata Domenica sul Corriere della Sera. Le scuole non si toccano. La spesa per l’istruzione è investimento vivo per il futuro del Paese. Ci crediamo e ci battiamo per questo, seppure in un momento difficilissimo.
Dopo i primi sei mesi di lavoro, si raccolgono alcuni frutti. Con il Ministro Profumo siamo in grado di  presentare  i primi risultati concreti di un impegno volto a rimettere la scuola al centro dell’agenda politica italiana. Perché serve alla crescita e serve all’equità. Tutte e due le cose insieme.
Venerdì scorso, alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio Monti, il Ministro Fabrizio Barca ha presentato le misure per l’inclusione e la coesione, realizzate con i fondi europei non spesi dalle Regioni del Sud. Tra queste misure, le oltre 100 microaree in cui collocheremo le azioni integrate contro la dispersione scolastica: a inizio giugno la mappa sarà completa, a settembre si parte.
Lavoriamo per sostenere i soggetti più deboli della società, per ridurre la povertà minorile: in questo quadro vanno collocate le misure per la scolarizzazione dei rom, in particolare delle donne e delle giovani madri, ma anche interventi sui nidi e prima infanzia (Qui il documento completo:  “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti. “).
E poi c’è il piano culturale e degli apprendimenti, dove stiamo lavorando per consolidare il lavoro delle scuole introducendo anche qualche novità. Sono alla revisione finale le indicazioni nazionali per il curriculum della scuola di base. Con la partecipazione e la consultazione delle scuole verrà pubblicato un documento di indirizzo,  per definire i traguardi da raggiungere entro la fine della terza media per ogni alunno.
Infine, due azioni per raccordare le iniziative delle scuole su due temi cruciali per la formazione delle giovani generazioni: le pari opportunità- con particolare attenzione al tema della violenza sulle donne- e il contrasto all’omofobia. Per la prima volta il Ministero dell’Istruzione ha inviato una circolare per la giornata mondiale contro l’omofobia del 17 maggio.


04 maggio, 2012

Scuola malata, è ora di tornare a Barbiana

Adele Corradi nel libro "Non so se Don Lorenzo" (Feltrinelli) racconta la sua esperienza nella scuola di Barbiana. Da quell'esperienza alle periferie di oggi dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita. E la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale. Un mio articolo ieri su La Stampa. 



Eravamo nel pieno del boom economico e tutto sembrava finalmente andare per il meglio. Quando, nel 1967, uscì Lettera a una professoressa e arrivò in ogni angolo d’Italia il monito, severo e profetico, di don Milani: “la scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”.
In quel libro c’erano i dati che mostravano che la classe sociale dei genitori determinava il successo o l’insuccesso scolastico, in larghissima misura. Quel monito ci sta ancora addosso. Perché è ancor oggi così. Sono i figli dei poveri a fallire a scuola. E sono tanti: il venti percento del totale dei nostri ragazzi. Che tendono a diventare il trenta percento e più nel Sud come nelle periferie del Centro e del Nord. Lo dicono i dati del Ministero dell’Istruzione, quelli Istat, la Banca d’Italia, la relazione della Commissione indagine sulla povertà. Lo mostra, pezzo per pezzo, il bellissimo Atlante dell’infanzia a rischio, curato da Save the children - che ci ricorda che mentre nella maggior parte d’Europa il figlio di un genitore di medio reddito e istruito ha 2 o 3 volte più probabilità di completare l’intero ciclo di studi, da noi ha 7,7 più probabilità! Il più grande scandalo d’Italia.
Così, è passato quasi mezzo secolo. Ma resta questo il principale problema non solo della scuola ma dell’intera società italiana. Dobbiamo riuscire a dare di più a chi parte con meno nella vita e la scuola va ancora ben sostenuta perché non vi è altro luogo che possa essere leva precoce di emancipazione e riequilibrio sociale.
Per questo l’Unione Europea dal 2000 – la famosa agenda di Lisbona - ci chiede di scendere sotto il dieci percento di fallimento formativo. E la questione è che noi non ci siamo ancora riusciti. Benché siamo ben consapevoli che il non riuscirci, oltre a essere una minaccia alla coesione sociale, ci priva di enormi risorse umane capaci di azioni positive, un fatto che condiziona la stessa crescita economica. Perciò: l’agenda politica, le scelte nella revisione delle spese e degli investimenti pubblici deve tenere conto innanzitutto di questa questione.
Ma più che i dati, come spesso accade, le vie da imboccare per riparare alle ingiustizie generali le descrivono bene i libri che parlano di gesti, di giorni, di vicende umane.
Nelle bellissime pagine di Insegnare al principe di Danimarca la molto compianta Carla Melazzini racconta del lungo nostro lavoro con i ragazzi che avevano abbandonato la scuola a S. Giovanni a Teduccio, Barra, Quartieri Spagnoli, Soccavo, Ponticelli. E’ una scrittura sorvegliata, severa – come Carla era - che mostra, con fatica e poesia, il lavoro della scuola che sa andare verso chi ne è stato escluso. Lavoro di grande complessità artigianale, fatto a Napoli eppure simile a quello svolto da altri insegnanti ed educatori a Torino, a Verona, a Palermo, a Reggio Emilia, a Milano. Il creare un luogo salvo, una zona franca, una chance. Dove curare - nel bel mezzo delle devastazioni - le ferite sociali ed emotive. Per restituire la guida adulta, la via dell’apprendimento, della motivazione, della cura di sé. Per ridare la capacità di aspirare, the capacity to aspire - come viene definita in un importante saggio di Arjun Appadurai.
Sono pagine difficili quelle di Carla Melazzini. Perché chiedono di ritornare a pensare alle persone che crescono. Perché chiamano l’intero sistema d’istruzione e formazione a rimettere insieme i pezzi, a coniugare meglio il sapere e il saper fare. E a misurarsi molto di più con l’essere quotidiano di ciascun ragazzo. Com’era a Barbiana, dove nell’aula di sopra c’erano i libri, le figure geometriche e le mappe, nell’aula di sotto gli arnesi per costruire e manutenere oggetti e il laboratorio di esplorazione scientifica e in ogni momento la possibilità di fermarsi e “parlare di noi”, di quel che sta succedendo e di come va, senza mai dimenticare che si sta lì per imparare.
Quattro anni prima dell’uscita di Lettera a una professoressa Adele Corradi salì a Barbiana.  Ora finalmente lo racconta nel libro Non so se don Lorenzo. Era il 29 settembre del 1963. Chi si è recato lì se la può immaginare, una professoressa non ancora quarantenne che percorre in salita la via in mezzo al bosco, per capire, per fare. Adele oggi decide di lasciare indietro la sua riservatezza e ci riporta proprio lì. Con un avvertimento: “Non si racconta in questo libro la storia di don Milani…. Si parla di lui, ma non se ne racconta la storia. Chi la volesse conoscere dovrà rivolgersi altrove…. Qui sono messi a fuoco frammenti di vita, frammenti sparsi, affiorati alla memoria col disordine dei ricordi”. Adele ricorda il giorno dell’inizio, domenica, S. Michele. Ma non ricorda che lezione avesse tenuto. Rammenta, però, che don Lorenzo, in modo per lui inconsueto, le disse: “ritorni”. E lei si è da allora sempre chiesta perché: “.. o gliel’ha suggerito lo Spirito Santo o io con la telepatia”. Così, dopo qualche giorno ritornò. E partecipò alla prima vera lezione, un esercizio di scrittura collettiva. E di lì si va avanti nel racconto, scena dopo scena, con i gesti e il parlato riportati entro un interrogarsi profondo e semplice. Perché questo libro rimette ogni lettore nel ritmo e nella parola di quel luogo, nel suo senso quotidiano. E così Adele ci fa un regalo immenso: toglie il peso del mito a Barbiana. E finalmente restituisce quella scena alla magica imperfezione delle persone al lavoro, che tentano, che riparano, che si chiedono, che litigano, che non sanno e che comunque riescono.
Ritrovare l’occasione e il modo di fare bene scuola provando a capire il proprio tempo e il mondo è sempre possibile. E rimettersi in gioco è la chiave dell’educare. Come ci dice ancora Adele, oggi quasi novantenne: “Sono stata insegnante di lettere alle medie fino alla pensione a sessantasette anni. Devo confessare che ero un’insegnante identica alla destinataria di Lettera a una professoressa… L’incontro con la scuola di Barbiana ha scavato un solco nella mia vita. Mi sono vista come non mi ero mai vista. E non solo come insegnante, ma come persona”.
Dunque, la vicenda di Barbiana e delle buone scuole delle nostre troppe periferie non è solo un’azione a sostegno dell’equità e a vantaggio di una società democratica. Ma permette trasformazioni. E ci dice la direzione da prendere per tutta la scuola. Perché l’azione pedagogica diretta a chi ha più bisogno spesso muta gli approcci profondi e sa indicare vie innovative. La necessità fa virtù. Perciò don Milani diceva: “Verrà un giorno in cui coloro che vogliono guarire le scuole malate dovranno salire a Barbiana”
E’ ora di ripartire da una scuola a tutto tondo, che integri studio, esperienza, riflessione ben organizzata sul mondo e sul sé. E che consenta di riportare anche tutta la meraviglia del sapere diffuso dai nuovi media entro l’azione composita e costante di un luogo accogliente e rigoroso. Un luogo salvo e innovato.

Save the Children
Atlante dell’infanzia a rischio
2011

Carla Melazzini
Insegnare al Principe di Danimarca
Sellerio, 2011

Arjun Appadurai
Le aspirazioni nutrono la democrazia
et.al, 2011

Adele Corradi
Non so se don Lorenzo
Feltrinelli, 2012