30 luglio, 2012

Prove e sfide


I dati emersi dalle prove INVALSI 2012 sono interessanti e meritano qualche riflessione. Non perché queste prove siano esenti da limiti o imperfezioni, ma perché sono l’unico strumento, migliorato e migliorabile, in grado di restituirci ogni anno fotografie degli apprendimenti standard e quindi confrontabili tra loro.
Il problema della scuola è sempre lo stesso: i gap nei livelli di apprendimento tra zone diverse, che tendono ad aggravarsi anziché a diminuire con l’aumentare dei gradi dell’istruzione. Esistono, lo sappiamo, almeno due “Italie” anche per quanto riguarda la scuola. Non possiamo accontentarci di facili quanto fallaci interpretazioni, volte soltanto a screditare insegnanti e studenti di mezza Italia. Sono infatti soprattutto le differenze profonde tra le scuole e tra i territori e le effettive condizioni di vita a pesare sui risultati nel Mezzogiorno. Lo dimostrano da anni anche i dati di Banca d’Italia e della Commissione Povertà. Differenze presenti fin dalla primaria, che esplodono nelle prove del secondo anno delle superiori.
La nostra scuola primaria si conferma comunque all’altezza dei confronti internazionali, sebbene, essendo chiamata a numerosi nuovi compiti- dall’integrazione degli alunni non italiani alle forme di apprendimento dei nativi digitali- cominci a presentare più marcate divergenze nelle prove di quinta elementare, che tendono poi nel tempo a riproporsi e aggravarsi.
Sono temi che stiamo affrontando nelle nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base, approvate da poco dal CNPI.
Il quadro emerso ci spinge a proseguire il lavoro di rafforzamento delle competenze di base e di contrasto alla dispersione scolastica avviato con il Piano Azione Coesione nelle regioni meridionali.
Vale la pena continuare a impegnarsi per questa scuola nonostante le difficoltà. E’ questo che vorrei dire a Silvia Avallone. Ma voglio ricordare l’immensa difficoltà per un paio di generazioni di accedere al lavoro in generale. E' sotto i nostri occhi come gli equilibri consolidati non bastino più. Il Paese non può uscire dai problemi se ai giovani non sarà consentito, attraverso una rottura degli equilibri, di esprimere se stessi contribuendo alla crescita. La scuola ha estremo bisogno di insegnanti giovani e preparati. Se io, come tanti, siamo potuti entrare a scuola a 20 anni, è perché un sistema di concorsi regolari consentiva di vincere o perdere, senza liste d’attesa infinite. Noi stiamo provando a ripristinarli e sappiamo purtroppo che se nulla può cambiare, se non si faranno delle scelte anche difficili, non ci riusciremo.
La nostra generazione non è in grado di trovare da sola le risposte al nuovo contesto. Questo sono andato a dire anche al Revolution Camp della Rete degli Studenti Medi: abbiamo bisogno che voi non vi arrendiate, della vostra pressione, del vostro conflitto, della vostra azione. Soltanto così l’Italia saprà reagire.

12 luglio, 2012

Di quando i clan cacciarono i bimbi rom


La foto è presa da qui

E’ giunta notizia dell’arresto di 18 persone a Napoli per l’incendio del campo nomadi di Via Gianturco, a Ponticelli, nel dicembre del 2010. Sono accusate, oltre che di estorsione e di associazione di stampo mafioso, dell’aggravante dell’odio razziale.
E’ un fatto importante, che ci riporta alla memoria alcuni gravissimi episodi verificatisi a Napoli, nello stesso quartiere Ponticelli, tra il 2008 e il 2010. Nel primo caso, un vero e proprio pogrom costrinse alla fuga notturna 500 persone dal campo rom incendiato, tra gli insulti di due ali di folla. La scuola del quartiere, l’88° circolo didattico, aveva unito i bambini attraverso le fiabe rom: i compagni di scuola dei bambini costretti a fuggire, il giorno dopo il pogrom, piangevano disperati.
Nel 2010 è stata proprio la scuola al centro delle “attenzioni”: boss locali minacciano le famiglie rom e fanno pressioni sulla preside perché non permetta a questi bambini di frequentare la scuola dove vanno i loro figli. La preside resiste, il campo brucia. Ma grazie a numerose denunce oggi si arriva a questi arresti.
Stiamo lavorando in stretto raccordo con il Ministro Fabrizio Barca, il Ministro Cancellieri, con le Regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, con le realtà del privato sociale che spesso in quartieri come Ponticelli svolgono un delicatissimo ruolo di mediazione, per integrare le azioni di contrasto alla dispersione scolastica con azioni dedicate all’integrazione dei bambini e dei ragazzi rom nelle scuole.
Abbiamo inserito le diverse azioni per l’istruzione all’interno della Strategia nazionale d'inclusione dei rom, sinti e caminanti voluta dal Ministro Riccardi.
Si tratta di riannodare i fili tra scuole, insegnanti, famiglie rom, privato sociale e istituzioni per fare delle cose mirate, misurabili nell’impatto e nei risultati. Abbattere il tasso di abbandono scolastico precoce dei bambini rom, oggi quasi al 42%; favorire percorsi di istruzione ad hoc per le giovani madri che hanno abbandonato la scuola; lavorare fin dalla prima infanzia sull’autorappresentazione della cultura rom (le fiabe, la lingua, la musica), anche attraverso progetti che uniscano le orchestre rom alle orchestre dei conservatori. Ci stiamo confrontando con la Roma Foundation, forte di una grande esperienza in Centro Europa.
Casa, lavoro e istruzione sono le cose che possono cambiare i destini di chi nasce in un campo. Come a Lamezia Terme ci ha raccontato Ciaiò.
Da qui passa il rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Che quando le istituzioni lasciano un vuoto, possono essere cancellati in pochi secondi. Lo spazio di un incendio di baracche. Il tempo di una minaccia alla scuola e al suo ruolo costituzionale.
C’è molto lavoro concreto e utile da fare.