22 aprile, 2013

1963-2013: la scuola media unica mise in moto l'Italia

Nel 50° anniversario della riforma della scuola media unica vale la pena ricordare come essa nacque da un decisivo dibattito parlamentare attorno all'idea di uguaglianza. Le nuove scuole medie aprirono le porte a 600.000 ragazzi e ragazze - figli di operai, braccianti, artigiani. Per qualche decennio il nostro Paese sperimentò la mobilità sociale. La riforma spezzava un tabù radicato nella cultura politica italiana, ma l'evoluzione fu troppo lenta e faticosa. Ho scritto di questa ricorrenza e di quale strada ci indica nel tempo attuale in un articolo su La Stampa del 21 Aprile. Ecco il testo integrale.


Pochi giorni prima del Natale del 1962 venne approvata dal primo centro-sinistra la legge n. 1859, che istituì la scuola media unificata, applicando finalmente la Costituzione della Repubblica che prevedeva otto anni di scuola gratuita e obbligatoria per tutti. La scuola media unica, insieme alla statalizzazione dell’energia elettrica, fu parte delle condizioni programmatiche poste dal partito socialista per terminare l’opposizione e avvicinarsi a un governo insieme alla DC superando l’alleanza frontista con i comunisti che durava dal 1948.
Così, nell'anno successivo, il 1963/64, le nuove scuole medie aprirono le porte a ben 600.000 ragazzi e ragazze, figli di operai, contadini, artigiani, piccoli commercianti e braccianti, che fino ad allora non erano andati oltre la quinta elementare o l’“avviamento professionale” secondo le norme del 1928.
Immaginiamo la scena. Nell'ottobre del 1962 Gianni e sua cugina Carla, figli di un salumiere e di un operaio edile, finiscono a pieni voti la quinta elementare. Hanno dieci anni. E le famiglie decidono di non mandare i due ragazzi alla scuola media – allora unica via d’accesso ai licei e poi, forse, all'università – ma semmai all’”avviamento”, dove per tre anni, sei giorni a settimana, con tuta e arnesi per l’officina o grembiule e attrezzi per i cosiddetti “lavori domestici”, tutti comprati dalle famiglie, ci si “ammaestrava” al lavoro e basta. Senza accesso al sapere del mondo. Ed ecco che, con la nuova legge, nell'autunno del 1963, i fratelli di poco minori di Gianni e Carla entrano invece a scuola e studiano Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze, Arte, Inglese o Francese, Ginnastica, Musica. E – quel che più conta - hanno le porte aperte all'accesso agli studi superiori. Inoltre fanno almeno un anno di latino - la materia simbolo dell’idea stessa di conoscenza delle classi medie italiane - che fu, infatti, l’oggetto intorno al quale si concentrò la polemica politica.
Anche se oggi vi è un proficuo dibattito sui limiti della nostra scuola media, va ribadito che la riforma fu una conquista storica in termini di eguaglianza. E non solo. La riforma, infatti, ebbe un successo multi-dimensionale perché, partendo dai diritti, spinse in avanti l’economia e la società italiane. 

12 aprile, 2013

Partecipare


Ieri sera a Otto e mezzo Fabrizio Barca, nel presentare la sua memoria (Un partito nuovo per un buon governo) - ha detto a Lilli Gruber che si era appena iscritto al PD. E ha aggiunto che anche io l'ho fatto a Napoli. 

Fabrizio si è iscritto dopo tantissimo tempo a un partito. La sua vicenda è quella di una persona di cultura di sinistra che ha fatto il civil servant ad altissimi livelli per lunghi anni. E che ora dichiara che lo Stato non può cambiare  se non è spinto radicalmente al cambiamento grazie all’azione di un partito nuovo, distinto dallo Stato stesso, che lo incalzi in modo costante con proposte argomentate e realizzabili, mettendosi continuamente in discussione nel vivo del confronto e studiando le soluzioni ai problemi locali e nazionali insieme ai cittadini. 

E’ dalla scorsa estate che mi confronto con Fabrizio sul tema di quale tipo di aggregazione politica possa migliorare l’Italia, in modo concreto, accettando sia il conflitto che la fatica della determinazione pubblica, trasformando le indignazioni in proposte che, poi, però, si attuino, nel confronto con chi vive i problemi e vuole risolverli, cambiando la vita delle persone, facendoci uscire da una lunghissima stagione di depressione economica, politica, culturale, umana. 

Del resto - come testimonia tutta la storia di questo blog - è questa l’ispirazione di ogni mio impegno pubblico. Non ho mai preteso di fare altro che questo; e ho sempre inteso farlo insieme agli altri attraverso prove di democrazia deliberativa, decidendo insieme per il bene comune. Inoltre, da tempo so e dico che senza misurarsi con un partito – e con il PD in particolare – è difficile poter pensare all'opera culturale, comunitaria e fattiva di cui l’Italia ha bisogno. Perché, con tutti i suoi limiti, il PD è l’unico partito non costruito intorno a un capo ed è il solo che abbia i saperi e i legami con molti mondi e migliaia di persone necessari per potere affrontare la complessità e tradurre i sogni nella fatica artigianale del risolvere i problemi. Per questo mi ero già iscritto al PD e ora, dopo due anni di interruzione, riprendo a farlo ben sapendo  che i limiti e le mancanze di questo partito chiamano a una sua profonda trasformazione. 

Per tutte queste ragioni ho condiviso molte riflessioni con Fabrizio, a partire dalle mie esperienze. Che sono diverse dalle sue. Perché io vengo dalla scuola e dal lavoro sociale e da queste dimensioni mi sono confrontato con le istituzioni e i problemi della democrazia e della effettiva partecipazione. Ed è entro i limiti delle cose che conosco che intendo continuare a farlo. 
Al contempo ho condiviso con Fabrizio la semplice constatazione che il Governo di cui siamo parte è stato chiamato a riprendere in mano il Paese, ha fatto cose indispensabili e difficili ma non sufficienti ad uscire da questa crisi e che si deve aprire una stagione di innovazione e riparazione che necessitano di una forte determinazione politica. 

Ed è proprio sui metodi e sui contenuti di tale determinazione politica che si gioca il nostro futuro e quello dei nostri ragazzi, insieme ai quali ci si deve pur spendere; e sono contento che in queste ore tante persone, vicine e non, mi stanno dicendo che - per quanto difficile - è questa la strada comune da prendere.


10 aprile, 2013

La domanda dei ragazzi


Domenica sera ad Aversa un ragazzino di 15 anni, Emanuele, è morto accoltellato. Un altro ragazzino, 17 anni, è accusato di omicidio. Vi è una pena grande. Per Emanuele che non c’è più. Per i suoi genitori. Le cose terribili tra ragazzi capitano. Molte per “futili ragioni”. Ma nel Mezzogiorno povertà, disgregazione sociale e la lunga, intollerabile mancanza di occasioni di speranza creano atmosfere, contesti, frustrazioni, rabbia che – al di là delle singole responsabilità – mostrano che viviamo una crisi profondissima.
Quando ho appreso la notizia ho telefonato alla preside della scuola di Emanuele: la conosco da molti anni, dirige una scuola molto attiva e seria, che fa parte anche dei prototipi contro la dispersione scolastica che abbiamo avviato. Mi ha detto che in serata era prevista una fiaccolata organizzata dai ragazzi della scuola, dagli amici di Emanuele. Ho deciso di andare. 
Ho trovato davanti ai miei occhi qualcosa di incredibile: tremila ragazzini sfilavano in assoluto silenzio per le strade della città. Accompagnati dai loro insegnanti e dalla dirigente della scuola, da qualche rappresentante delle associazioni locali. C’era il vescovo di Aversa e alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri. E’ c’era il Sindaco.
Mi è sembrato davvero che quella risposta straordinaria dei ragazzi, la muta domanda di quella testimonianza di sgomento, abbia trovato pochi ed isolati interlocutori. Ho provato a dir loro poche sentite parole. Una cosa difficilissima a farsi. 

Il giorno dopo avevo appuntamento a L’Aquila dove - proprio in concomitanza con il quarto anniversario del terremoto – erano riuniti i Presidenti delle Consulte Studentesche di tutta Italia per la loro conferenza annuale. Hanno passato tre giorni a discutere tra loro, a confrontarsi sulla condizione delle loro scuole, a proporre soluzioni. E si sono conosciuti con i loro coetanei aquilani, hanno potuto guardare alla realtà del capoluogo abruzzese dopo il terremoto attraverso i loro occhi, andando a visitare la zona rossa, parlandone a lungo e guardando i bellissimi video fatti dai ragazzi delle scuole dell’Aquila. Ho ascoltato i loro interventi. Hanno approvato un documento molto bello ed efficace nella sua semplicità. Chiedono alle istituzioni di fare qualcosa per dare un Governo a questo Paese che possa occuparsi del malessere dei più giovani. Si dicono preoccupati e richiamano la classe dirigente alla responsabilità. Vogliono ricordare alle massime cariche dello Stato che la nostra Costituzione è ancora una promessa da realizzare con l’impegno di tutti. 
Ho raccontato loro di Aversa, di quei ragazzi che sfilavano in silenzio assoluto. Lo stesso silenzio delle strade dell’Aquila. Un silenzio che chiama alla responsabilità politica delle classi dirigenti, come il documento che hanno scritto. Chiama alla cura della polis, della nostra comunità.
Sento forte il peso della situazione attuale. Sono preoccupato e non posso nascondere la responsabilità della generazione a cui appartengo. Personalmente non mi sento tanto in colpa, ma la questione non è personale. Noi siamo responsabili di fronte alle nuove generazioni. Noi abbiamo consegnato ai più giovani un Paese per troppi versi peggiore di quello che abbiamo ereditato. Dobbiamo dire questa cosa, fare un'operazione di verità come generazione. Altrimenti continueremo a occupare lo spazio pubblico a nostro modo. Solo così possiamo interloquire con i ragazzi e consegnare responsabilità.
Ogni volta che questo accade, noi impariamo qualcosa da loro. Se noi non abbiamo portato a casa i risultati allora dobbiamo tornare ad apprendere insieme a loro.
Le retoriche servono pochissimo, bisogna tornare alla circolarità dell'apprendimento fra le generazioni. Quel documento che mi hanno consegnato riguarda al contempo la scuola e l'Italia. 
Li ho ringraziati per il loro lavoro e la loro passione. Per questa fatica di mettersi d'accordo che persone che sembrano tanto importanti – lo vediamo - non riescono a fare. Ho chiesto loro di andare avanti e di nutrire la loro paziente opera di proposta e di sogno di cui l'Italia ha bisogno per poter uscire da questa situazione. 


08 aprile, 2013

Tra urgenze e attese


Siamo ancora qui, in ordinaria amministrazione. Nell'attesa che arrivi un nuovo Governo o il voto. Lavoriamo a tutto quello che possiamo seguire. Cose ordinarie, ma di grande importanza nella vita quotidiana delle scuole.
Mi sto occupando dell’avvio del prossimo anno scolastico perché le risorse arrivino più puntuali e certe rispetto all'anno passato.
Sto seguendo la riprogrammazione dei fondi europei 2014-20 per istruzione e formazione. Si tratta di una fase di concertazione con regioni e parti sociali sulle priorità: dov'è che bisogna concentrare i soldi europei? 
C’è poi l’avvio del lavoro delle 212 reti di scuole per i prototipi contro la dispersione scolastica. Circa 1000 scuole coinvolte in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
Abbiamo insediato presso il Miur il Comitato Scientifico per l’attuazione delle nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola di base: avvierà da subito la formazione per i docenti e un confronto con le scuole. 
Stiamo seguendo l’attuazione della direttiva sui Bisogni Educativi Speciali. Si tratta di migliorare la capacità delle scuole di dare sostegno a chi è più fragile.
Le scuole lavorano tutti i giorni. Nonostante problemi e incertezze. E noi qui proviamo ad aiutarle.

In questi giorni nuovi dati Eurostat ci hanno ricordato i tagli draconiani che la scuola italiana ha subito dal 2008: 8,3 miliardi di fondi in meno ci hanno portato al penultimo posto in Europa a 27, prima soltanto della Grecia. E’ vero che gli interessi sul debito rendono i dati comparativamente peggiori di altri Paesi. Ma il ritardo c’è lo stesso. Eccome.
Questi tagli che sono stati fatti – lo sappiamo – in modo drastico e lineare, pesano moltissimo, negano il futuro. 
Bisogna fare come per i crediti delle imprese: procedere subito ad una prima restituzione, su alcune priorità assolute. L’estensione delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica; la formazione in servizio dei docenti; un po’ di organico stabile e certo per rafforzare e rilanciare l’autonomia delle scuole di programmare e organizzare; il diritto allo studio, soprattutto. 
Sento moltissimo – più di ogni altra cosa – che noi non possiamo rivolgerci più ai ragazzi senza un primo gesto di riparazione. Mentre diminuiva la spesa per la scuola, aumentava quella per sanità e pensioni. Qui non si tratta di togliere a chi è già in sofferenza, ma di trovare subito un po’ di risorse dove si possono prendere, per restituire un primo pezzetto di futuro. Fare in fretta.  Lo ha detto anche il Garante per l’Infanzia: due milioni di bambini e ragazzi sono in forti difficoltà. Non c’è tempo.