14 febbraio, 2014

L'agenda che serve al Sud è l'agenda che serve all'Italia

In risposta alle critiche, ma soprattutto per spiegare le ragioni di una scelta politica: investire 15 milioni di euro contro la dispersione scolastica come politica nazionale, preventiva, per la riduzione dei divari. Un mio articolo oggi su Il Mattino.

Il dibattito sui fondi per la lotta alla dispersione scolastica aiuta tutti noi a riflettere. L’Italia attraversa una fase di grande sofferenza. Alle forme persistenti e ormai ben conosciute di esclusione economica e sociale si aggiungono le conseguenze della crisi economica: aumento della disoccupazione, dei giovani inoccupati e precari, delle famiglie impoverite, degli immigrati senza più impiego. I dati Istat non lasciano dubbi: l’emergenza maggiore è al Sud, dove si concentra il doppio delle famiglie povere rispetto al resto d’Italia. Ma anche al Centro-Nord la situazione è in grave peggioramento, complice il disgregarsi dei servizi di welfare locale, che avevano garantito negli anni una tenuta. Secondo la Comunità di Sant’Egidio nella sola città di Roma ci sono 30.000 bambini in povertà assoluta. 
Conosco bene le forme dell’esclusione sociale precoce del Meridione. Ho trascorso vent’anni della mia vita a lavorare con i bambini e i ragazzi esclusi a Napoli e gli ultimi due anni e mezzo – nel mio ruolo di Sottosegretario all’Istruzione, insieme all’allora Ministro Barca e alle Regioni stesse  – a progettare e monitorare l’uso dei fondi europei non spesi dalle Regioni meridionali per reinvestirli nel contrasto alla dispersione scolastica. E’ per questo che oggi sono attive 206 reti di scuole contro gli abbandoni in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, finanziate con 50 milioni di euro. La lotta alla dispersione al Sud è diventata una priorità delle politiche per la riduzione dei divari sociali. Si tratta di un’occasione importante, dopo i numerosi fallimenti del passato nell’uso delle risorse per il Mezzogiorno. Fallimenti - dovuti sia a scelte nazionali, sia a manifeste mancanze della classe dirigente meridionale - che hanno contribuito negli anni a determinare una riduzione progressiva delle risorse per il Sud e ad alimentare la delegittimazione di ogni politica nazionale incentrata sulla riduzione dei divari ovunque e per tutto il Paese.
A questo strumento dedicato al Sud si è aggiunto pochi mesi fa, con il Decreto “L’Istruzione Riparte”, un ulteriore programma di carattere nazionale di prevenzione degli abbandoni. Le priorità di azione che Governo e Parlamento hanno stabilito sono il contrasto del disagio giovanile causa di abbandoni, il rafforzamento delle competenze di base e anche l’integrazione degli alunni stranieri, presenti, com’è noto, maggiormente nel Centro-Nord. Quando si fanno delle scelte politiche le polemiche non mancano mai. Credo sia giusto riconoscere che il Ministero dell’Istruzione ha scelto una prospettiva nazionale, preventiva, che guarda alla complessità, costruendo uno strumento utile alle scuole per rispondere - con risorse limitate, 15 milioni di euro - a bisogni educativi diversi con azioni diverse e mirate. Questa scelta può servire a ribadire che l’Italia è una e che nella crisi le difficoltà devono unirci. 
Ogni giorno mi chiedo se siano sufficienti le azioni e le risorse messe in campo per la lotta alla dispersione scolastica: la risposta è no. Ma so anche che le risorse da sole non promettono successo. Così i decisori pubblici dovranno valutare con accuratezza gli esiti delle politiche già attuate, riprogrammare altri fondi per il 2014-20, dedicare attenzione speciale alle problematiche delle aree interne. E si dovrà poi finalmente cambiare la scuola con una profondità sufficiente e con abbastanza risorse da trasformare in ordinario ciò che oggi è ancora affidato ai programmi straordinari: una didattica più incentrata sui bisogni di ciascuno e una promozione del merito come conquista e non come destino. Tutto questo andrà integrato con politiche anti-povertà e pro-occupazione, che non siano a pioggia né di tipo assistenzialista, in tutto il Paese e soprattutto nel Mezzogiorno. Iniziando da una formazione professionale degna di questo nome, che al Sud non abbiamo saputo costruire. 
Se il Mezzogiorno saprà cogliere le occasioni che si presentano e la politica nazionale muoversi in queste direzioni, i divari potranno cominciare a ridursi.
Solo allora, forse, potremo uscire dall’alternativa “rassegnarsi o gridare” per mostrare alle classi dirigenti del Paese che l’agenda che serve al Sud – istruzione, lotta alla povertà e all’esclusione, ambiente, occupazione e imprenditorialità – è la stessa agenda che serve all’Italia. 



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