26 luglio, 2014

Con l’altro davanti

E' in libreria "Con l'altro davanti" (ed. Libreria Universitaria) 

Da molti anni ho ripreso a interrogarmi sul significato degli incontri umani – di tutti gli incontri umani, ben oltre la scuola - coma base dell’apprendere e dell’educare. Questo lavoro sui fondamenti mi aveva portato, sette anni fa, anche a riprendere gli studi universitari dopo troppe interruzioni. Ero intenzionato a capirne di più, iscrivendomi alla Pontificia Università Salesiana ma soprattutto leggendo intensamente e con metodo sul tema. Avevo anche un grande bisogno di parlarne in modo libero da schemi e facili conclusioni e, dunque, con una persona e una ricercatrice che, proprio su questo tema, ne sapesse davvero tanto. E’ così che ho costruito una serie di lunghe “sedute di conversazione” con Clotilde Pontecorvo, mia cara amica e maestra; sedute di intervista-conversazione che sono state il centro, poi, anche della mia tesi di laurea.
Clotilde è professore emerito di psicologia dell’educazione dell’università la Sapienza di Roma. Docente universitario di vasta cultura filosofica, pedagogica e psicologica, ha sempre lavorato a contatto con le scuole e gli insegnanti. Membro ascoltato di molti organismi istituzionali, è impegnata da decenni per l’innovazione della scuola pubblica, la formazione dei docenti, l’accurata costruzione dei contesti di apprendimento e la centralità dei temi educativi nella società contemporanea. Ricercatrice di profilo internazionale, ha scritto e curato una ventina di volumi e più di 230 articoli e monografie, dedicati, in particolare, alla complessità dei processi socio-cognitivi, ai contenuti e alla didattica soprattutto di area umanistica e alle interazioni discorsive tra le generazioni a scuola e in famiglia.
Nel conversare con Clotilde sono partito dalla nota affermazione di Martin Buber: “Ogni vita vera è incontro”. Da qui è nato un dialogo molto appassionato che interroga il senso e le prospettive del dialogo stesso. E che è andato avanti e indietro tra la vicenda biografica di Clotilde, la storia degli studi e delle ricerche sul tema, le diverse prospettive e i grandi quesiti intorno alla nozione di altro che attraversano più tradizioni, da quella ebraica a quella cristiana a quella del tempo dei lumi a quella che è a fondamento, con Socrate, della filosofia antica.
Per chi si occupa di scuola e di educazione è un libro che prova anche a mostrare come la ricerca in campo psicologico, pedagogico e delle neuroscienze oggi attesti che il riconoscimento dell’altro sia alla base dell’apprendimento umano.
Per me che c’ho lavorato ne è venuto una sorta di nuovo richiamo all'altro come fondamento, ancora oggi, della possibilità di vivere e operare insieme per la polis.

24 luglio, 2014

Da tutto il mondo

L’altro ieri (22 luglio) sono andato all’incontro di 400 maestre e maestri provenienti da tutto il mondo. Maestri spesso di bambini poveri, in piccole scuole lontane dai grandi centri  (come nella foto) o in scuole piene di bambini e bambine nelle metropoli gigantesche del modo. Sono i maestri che si sono formati e che si ispirano alla pedagogia di Celestin Freinet e della cooperazione educativa. Alla quale mi sono formato quando ho iniziato a insegnare.
Dal 21 al 30 luglio si riuniscono a Reggio Emilia. E lavorano. Tanto e bene. Basta guardare un attimo i soli titoli dei molti laboratori. Sì, solo i titoli dei laboratori formativi  - guardate qui, per favore ci dicono di mondi, di tempo dedicato, di vero confronto tra persone che fanno lo stesso mestiere a migliaia di chilometri di distanza, in contesti diversissimi, eppure….
Tanto ma tanto materiale prezioso, costruito da persone dedicate e capaci e sul merito delle cose. Quanto ci vorrebbe più tempo e pensieri dedicati a queste cose, in questo Paese...

12 luglio, 2014

Quelle barriere che separano le persone dalla bellezza

Questo che segue è il mio articolo uscito su Repubblica Napoli di oggi a commento dell’intollerabile morte di Salvatore Giordano, ragazzo di 14 anni colpito da una pietra caduta da un cornicione storico nel centro monumentale della sua città, vittima innocente della perenne incuria della città di Napoli, ora tutta transennata. E segno di irresponsabilità degli adulti, incapaci di lasciare alle future generazioni i luoghi curati e manutenuti come dovrebbe avvenire in ogni comunità umana.


Sciama il vento di maestrale. La pioggia che è passata ha ridato nitidezza a S. Martino, a Capodimonte, alle centinaia di palazzi messi uno accanto all'altro con maestria, nei secoli; e ridà luce al golfo, che viene incontro com'è ritratto nei quadri ammirati nei grandi musei di Vienna, di Londra, di Parigi, di San Pietroburgo. I dipinti dei migliori pittori d’Europa che volevano mostrare ovunque una delle città più belle al mondo. Da sempre vista così.
Ma in questi giorni così luminosi i turisti che continuano a venire per ammirarci e i cittadini di Napoli sono messi a distanza dai luoghi. Crescono le barriere tra le persone e le bellezze. Ovunque. E ora nel centro monumentale. Il palazzo reale è transennato e vi si accede da un lato che il gruppo dei turisti, uscito estasiato dalla metropolitana, non può trovare. In via Toledo altre transenne impediscono l’ingresso in Galleria. E altre ancora stanno davanti al S. Carlo. Le persone passano, commentano, sentono la città come in una specie di assidua quarantena. Si dispiacciono. Per Salvatore. Per i luoghi deperiti e resi un pericolo. La ragazza napoletana che parla un buon inglese cerca di spiegare alla coppia salita dal porto con la guida in mano che è un’emergenza, che c’è pericolo. La giovane coppia dice che non capisce. La ragazza risponde loro - con un sorriso di vergogna dignitosa - che neanche lei capisce. E ha ragione.

01 luglio, 2014

Dare forza ai potenziali di cambiamento positivi

Un mio articolo apparso sulla Newsletter Nuovi Lavori n. 135 del 24 Giugno 2014 dedicata al tema: "Perchè il Mezzogiorno non si ribella?".

Più che domandarsi perché il Sud non si ribella all’evidenza del declino economico e della marginalità prolungata (pre-esistenti a questa crisi ma da essa aggravati) - che continua a escluderne i cittadini, più che altrove, dalle opportunità e dai diritti civili e sociali - conviene, forse, ritornare a indagare i fattori di cambiamento e quelli di conservazione che convivono sulla scena del Mezzogiorno.
Con uno sguardo a ritroso e uno sull’oggi.
C’è un passaggio della storia del Mezzogiorno al quale, nella riflessione comune, è importante tornare. L’Italia è una Repubblica grazie alla vittoria del referendum costituzionale. Ebbene, quella vittoria ci fu anche grazie al compatto e non scontato voto repubblicano dei contadini e dei braccianti meridionali. La parte più povera, dunque, della società meridionale si rivelò essere fortemente dinamica in un passaggio decisivo. E fu dinamica nonostante due decenni terribili, vissuti proprio da questa parte della popolazione più esclusa dai diritti e dalle opportunità.
Ricordiamolo. Tra il 1926 e il 1941 - mentre vi fu un nuovo aumento demografico più rapido di quello del Nord - la recessione mondiale e la sua gestione da parte del regime fascista imposero la riduzione dei salari agricoli a sostegno dei latifondisti e fecero crollare i prezzi in agricoltura che allora contribuiva per il 70% alla formazione del reddito meridionale. E, intanto, si arrestarono l’emigrazione verso l’America e il flusso delle rimesse degli emigranti, colpiti dalla chiusura all’emigrazione italiana del 1921 e, poi, dalla grande crisi del 1929. Così, la disoccupazione di massa e la miseria investirono soprattutto contadini e braccianti. E non bastarono ad arginarle né l’arruolamento nelle guerre di Spagna e d’Etiopia né le lente politiche delle opere pubbliche (limitata bonifica, estensione delle reti stradali, lavori nelle città), né le fragili protezioni sociali (prima previdenza, piccolo imponibile di mano d’opera). Quel Mezzogiorno legato alla terra e stremato dalla miseria fu portato a conoscenza del grande pubblico italiano e mondiale dal Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi.